venerdì 3 aprile 2015

FOO FIGHTERS

E poi arrivò il giorno in cui Dave Grohl si rese conto che in questa storia del rock non sta transitando da spettatore, ma conserva pur sempre un posto d’onore, con tutte le responsabilità che questo comporta. Come quella di non vivere sul passato Nirvana, ma neppure su quello degli stessi Foo Fighters. Nato come un estemporaneo side-project nel 1995 con un esordio atipico e a suo modo avanti nel tempo (quasi un pre-indie), maturato poi in un rock ad alto voltaggio con il grande The Colour and the Shape del 1997, il progetto Foo Fighters si era via via consumato in una faciloneria da rock pro-MTV generation. Sonic Highways (Rca) cambia tutto: Grohl per la prima volta smette di giocare ad essere il giovane che più non è, e matura un progetto da alta scuola rock. Otto brani che narrano otto città americane anche attraverso otto mini-film, trasmessi con successo dalla pay-tv HBO. Chicago, Austin, Nashville, Los Angeles, Seattle, New Orleans, Washington e New York vengono descritte partendo dagli studi di registrazione dove sono nati i brani, con un’ampia analisi visiva della moderna cultura americana e una serie di interviste agli eroi musicali del luogo (Dolly Parton, Paul Stanley dei Kiss, Joe Walsh degli Eagles, e tanti altri). Pretenzioso parrebbe, eppure Grohl azzecca misura e gusto, con un lotto di brani finemente scritti (ascoltate Congregation o Subterranean ad esempio) che dimostrano che forse ogni tanto ci fa, ma, se volesse, ci sarebbe sempre. Certo, gli anni 2000 sembrano passati invano in queste note, e il revival anni 90 è dietro l’angolo, e qualche accanito fan mugugna un po’ per questa versione più intellettualizzata della band. Eppure il marchio di fabbrica resta comunque riconoscibilissimo fin dalla iniziale Something From Nothing, in cui si fanno aiutare da Rick Nielsen dei Cheap Trick per un viaggio nei bassifondi di Chicago, o quando chiamano  Ian MacKaye dei Minor Threat e Fugazi per spiegare al mondo cosa è stata la scena hardcore di Washington. Grohl passa dunque alla didattica attraverso i suoi miti (da Willie Nelson agli ZZTop), con un atteggiamento da padre consapevole che chiude finalmente l’era della X generation.

Nicola Gervasini

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