Quando si parla degli Iron Maiden
viene subito la tentazione di parlare di “ritorno”, nonostante la storica sigla
dell’heavy metal britannico non abbia mai ufficialmente mollato il colpo fin
dall’esordio del 1980. Certo, il ritorno di Bruce Dickinson alla voce nel 2000
ha avuto lo stesso effetto di rinascita che ebbe il ritorno a casa di Ian Gillan
nei Deep Purple nel 1984: entrambi arrivati per secondi nella band, eppure
entrambi indiscutibilmente a capo della formazione storica per antonomasia
delle rispettive case. Anche i loro fans non hanno mai desistito e perso fedeltà,
persino nei difficili anni 90, e pure ora che i capelli da sbattere non ci sono
più, e le pance impediscono ai vecchi pantaloni in pelle di chiudersi bene. Anzi,
il mito Iron Maiden continua a mietere nuovi adepti e curiosi cultori anche tra
le nuove generazioni, pronte a scuotere la testa con tanto di mano a corna di ordinanza
al solo attacco di Run To The Hills. Book
Of Souls (Parlophone/BMG) sa però di disco di nuova maturità, perché che
una band giunta al sedicesimo album riesca a far reggere ben 92 minuti di
musica, in un epoca in cui anche 45 sanno di album troppo lungo, pare davvero
un traguardo ragguardevole. La noia c’è solo per chi non è già avvezzo alla
loro filosofia, ma Dickinson e soci sembrano voler ribadire che non c’è nulla
da cambiare nella loro musica, è sempre andata bene così com’è. Anzi, ora
possono anche dilatarla fino ai diciotto minuti di Empire Of The Clouds senza timore di tediare nessuno dei loro
cultori. E senza dubbio la chitarra di Adrian Smith e la voce di un Dickinson
reduce da due tumori suonano ancora potenti, e basta anche solo azzeccare il
riff giusto (il singolo Speed of Light
ce l’ha eccome) per ritrovare il sapore di un tempo. Ci sarebbe da contestargli
l’aver definitivamente rinunciato a una qualsivoglia tentativo di variazione
stilistica, nonostante i lunghi timing delle canzoni possano far pensare ad un
cambio di rotta più metal-prog, ma si ha l’impressione di rovinare una festa
anche solo a pensarlo, perché qui per un ora e mezza è palpabile l’unica vera
ragione per cui loro sono, con gli Slayer, l’istituzione del metal anni 80 più
credibile oggigiorno.
Nicola Gervasini
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