Little Steven & The Disciples of Soul Summer of Sorcery [Wicked Cool/Universal 2019] littlesteven.com File Under: Let’s Have a Party di Nicola Gervasini (17/05/2019) |
Se voleste trovare un perfetto interlocutore per discutere sulla storia del rock, vi auguro di avere la fortuna di poter incontrare Little Steven. E non per chiedergli qualche aneddoto su Bruce Springsteen, ma proprio per una chiacchierata tra veri musicofili. Lo storico partner del Boss è prima di tutto un grande conoscitore di musica, e solo così è potuto diventare anche il vero creatore di quel Jersey-sound tutto fiati Soul e sudore blue-collar, un suono che l’amico Bruce ha poi riadattato a suo modo, ma che ha trovato pieno sfogo nelle sue prime produzioni per i dischi di Southside Johnny. Altra storia invece la sua carriera solista, iniziata nel 1982 con un Men Without Women che infatti suonava come un (bel) disco di Southside Johnny senza il titolare, ma poi sviluppatasi su terreni più radiofonici e funky-pop, che lo hanno portato fino al coraggiosissimo (ma commercialmente fallimentare) Revolution del 1989, il disco che avrebbe fatto Prince se fosse nato nel New Jersey nelle intenzioni del buon Steve, che da quell’album recupera qui il brano Education.
Da lì gli anni bui dei 90, con la E-Street Band in vacanza, e lui scaricato dalle major per le quali spesso e volentieri prestava i propri servizi di produttore (ci mise quasi dieci anni a farsi pubblicare l’ingiustamente ignorato Born Again Savage). Oggi Steve Van Zandt ha quasi settant’anni, e visto che il Boss si attardava nei teatri di Broadway, e la pensione non è cosa per indomiti rockers, lui si è rimesso in strada con una band spettacolare (Disciples Of Soul) ritornando artisticamente a quello che è stato il suo "wall of sound" di spectoriana memoria. E se due anni fa Soulfire aveva riportato a casa un po’ di gemme prestate agli amici, Summer Of Sorcery è invece un disco quasi tutto nuovo, in cui tra fiati, cori e arrangiamenti sontuosi, Little Steven fa un riassunto di tutta la musica che ama e ci ha fatto amare.
E non stiamo parlando di uno dei tanti operai della canzone americana che puntano tutto su energia e sincerità, perché quello che offrono questi dodici brani è un piccolo vademecum di come si arrangia una rock-song. Prendo ad esempio Superfly Terraplane: si tratta di un rock and roll da pub come ne sono stati scritti mille nel New Jersey, la tipica canzone alla Joe Grushecky, per dire, ma Little Steven la condisce con una serie di dialoghi tra fiati, cori, piano e un inserto quasi tex-mex nella parte centrale, e così l’illusione di trovarci davanti a qualcosa di speciale è presto creata. Perché dal punto di vista della scrittura qui di speciale c’è ben poco, e da quando ha perso quella vena polemico-politica che esibiva fieramente negli anni 80, Little Steven oggi non pare avere poi molto da raccontare nelle sue canzoni se non i propri ricordi. Ma se Summer Of Sorcery suona bene è perché a realizzare il tutto c’è un uomo che la musica non solo la suona, ma la pensa, la immagina e la realizza alla grande grazie alla sua lunga esperienza di produttore.
Non è solo rock and roll questo, è pura arte del confezionamento.
Da lì gli anni bui dei 90, con la E-Street Band in vacanza, e lui scaricato dalle major per le quali spesso e volentieri prestava i propri servizi di produttore (ci mise quasi dieci anni a farsi pubblicare l’ingiustamente ignorato Born Again Savage). Oggi Steve Van Zandt ha quasi settant’anni, e visto che il Boss si attardava nei teatri di Broadway, e la pensione non è cosa per indomiti rockers, lui si è rimesso in strada con una band spettacolare (Disciples Of Soul) ritornando artisticamente a quello che è stato il suo "wall of sound" di spectoriana memoria. E se due anni fa Soulfire aveva riportato a casa un po’ di gemme prestate agli amici, Summer Of Sorcery è invece un disco quasi tutto nuovo, in cui tra fiati, cori e arrangiamenti sontuosi, Little Steven fa un riassunto di tutta la musica che ama e ci ha fatto amare.
E non stiamo parlando di uno dei tanti operai della canzone americana che puntano tutto su energia e sincerità, perché quello che offrono questi dodici brani è un piccolo vademecum di come si arrangia una rock-song. Prendo ad esempio Superfly Terraplane: si tratta di un rock and roll da pub come ne sono stati scritti mille nel New Jersey, la tipica canzone alla Joe Grushecky, per dire, ma Little Steven la condisce con una serie di dialoghi tra fiati, cori, piano e un inserto quasi tex-mex nella parte centrale, e così l’illusione di trovarci davanti a qualcosa di speciale è presto creata. Perché dal punto di vista della scrittura qui di speciale c’è ben poco, e da quando ha perso quella vena polemico-politica che esibiva fieramente negli anni 80, Little Steven oggi non pare avere poi molto da raccontare nelle sue canzoni se non i propri ricordi. Ma se Summer Of Sorcery suona bene è perché a realizzare il tutto c’è un uomo che la musica non solo la suona, ma la pensa, la immagina e la realizza alla grande grazie alla sua lunga esperienza di produttore.
Non è solo rock and roll questo, è pura arte del confezionamento.
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