giovedì 14 gennaio 2010
CARUS THOMPSON - Creature Of Habit
21/12/2009
Rootshighway
Quando sento un disco come questo Creature Of Habit dell'australiano Carus Thompson mi vien quasi la nostalgia dei tempi in cui simili piccole opere di cantautorato leggero ed acustico si trovavano con il lanternino. La rarità infatti rende preziosi, e sottolinea i meriti oltremisura magari, ma dall'altra parte spiace che queste dieci brevi canzoni si debbano inevitabilmente perdere nell'iper-produttività del mercato indipendente di questi anni. Potremmo aiutare Carus affibiandogli un bell'8 e consigliando il suo secondo album solista ai quattro venti, ma non saremmo vicini alla realtà di una raccolta di semplici folk-songs, che non chiedono molto di più che farsi apprezzare senza troppi clamori. Carus Thompson non è un novellino, negli ultimi anni ha calcato i palchi australiani come Carus & The True Believers, gruppo con il quale ha già prodotto due album (Long Nights Are Gone del 2004 e Three Boxes nel 2007). Nelle note di copertina è lui stesso a battezzare Creature Of Habit come la sua prima produzione importante, sebbene licenziata sempre per via indipendente, visto che il suo primo disco (Songs From Martin St. del 2003) era ancora un guazzabuglio di stili (si arriva al reggae e al funky) poco in linea con la sua vera natura da singer-songwriter.
Qui le cose sono fatte effettivamente come si deve, anche grazie all'apporto di collaboratori esperti come il produttore Greg Arnold (leader della aussie-rock-band Things Of Stone And Wood, molto popolari in patria negli anni 90), che s'inventa nella title track o On My Way dei deliziosi accompagnamenti di fiati in stile pop anni 60 che rappresentano l'unico lusso stilistico del disco. Per il resto Thompson rispolvera l'immaginario dell'hobo solitario che si guadagna le birre con canzoni che raccontano storie drammatiche di minori allo sbando (For The Rest Of My Life), momenti di sofferta poesia, spiccia ma quanto mai efficace, come quella usata per raccontare il bruciore di un fallimento (Burn) o in genere tante storie di amori impossibili o problematici (Doing Time inizia con il disilluso verso "ecco l'ennesima relazione che aspetta solo che le cose vadano meglio, chiedendosi se e quando te ne andrai…").
Equamente diviso tra momenti interessanti e qualche episodio di maniera - se non proprio di mero mestiere come I Found Love e Long Time, Creature Of Habit termina in crescendo con i due brani migliori, l'accorata Your Eyes Is Bleeding e il tour de force lirico di Prisoners Of The Rodeo. Non basta per cambiare le sorti della musica di questo millennio, ma è più che sufficiente per non avere voglia di finire in fretta la birra.
(Nicola Gervasini)
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