venerdì 22 gennaio 2010

SPOON - Transference


Buscadero
Gennaio 2010



Su queste pagine quando parliamo di Austin pensiamo subito alla capitale del miglior cantautorato americano, la patria di mille eroi che transitano mensilmente su questa pagine. Eppure in quella che molti considerano la “Dark Side Of Nashville”, magari in uno scantinato con il poster di Townes Van Zandt appeso alla parete, sono nati a metà degli anni 90 gli Spoon, una band di giovani che invece che omaggiare Guy Clark come tutti i loro compagni di scuola, prendeva il nome da una canzone dei teutonici Can, giusto per far capire subito che di tutt’altra musica si voleva trattare. Ne è nata una delle più interessanti (e, se vogliamo. più moderne) epopee musicali del nostro tempo, un’avventura che ha reso la band di Britt Daniel uno dei nomi di punta dell’avanguardia musicale mondiale, e sicuramente dischi come Kill The Moonlight, come anche l’ultimo Ga Ga Ga Ga Ga, sono titoli che descrivono e rappresentano la musica di questo decennio meglio di qualsiasi altro. Transference è il loro settimo album in quindici anni di vita, già anticipato dal micidiale singolo Got Nuffin’ (uscito in un EP dallo stesso titolo già qualche mese fa), sicuramente l’episodio più “banalmente rock” di questi undici brani, vale a dire la giusta scelta per qualche mai disdegnato sbocco radiofonico. Nell’impossibilità di sorprendere ancora come nei precedenti capitoli, gli Spoon giocano la carta della varietà, dei mille cambi di ritmo, per cui è possibile che del disco non solo vi piacciano tantissimo alcuni brani e altri proprio no, ma capita anche che un brano inizialmente poco significativo e confuso come I Saw The Light si trasformi improvvisamente in una fantastica cavalcata rock che strappa applausi. Oppure che dopo un inizio pigro e irrisolto come quello di Before Destruction e Is Love Forever?, si abbia una micidiale sequenza con The Mystery Zone (basso pompante, archi beatlesiani e un finale a sorpresa con un semplice “cut” nel bel mezzo del ritornello), Who Makes Your Money (psycho-elettronica che ci riporta all’epoca del trip-hop anni 90) e Written In Reverse (chitarre, riff rocciosi, pianoforti alla Rolling Stones, ma il tutto stravolto alla loro maniera ovviamente). L’affannosa ricerca del non-derivativo è la molla che porta gli Spoon a restare unici, e allo stesso tempo la ragione di alcune piccole cadute di tono che forse preannunciano l’era della maturità e la fine del loro grande momento creativo. Transference infatti è lì sul confine, bizzarro, emozionante, elettrizzante, quanto a volte irritante: dategli una chance spogliandovi di ogni aspettativa e portando poco rispetto per il vostro background musicale, finirete per ballare anche voi al ritmo dance di Nobody Gets Me But You (probabilmente l’Another One Bites The Dust degli anni 2000), scoprendo magari che vi piace pure parecchio.
Nicola Gervasini

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