Buscadero
Gennaio 2010
Un tempo erano le fiere del vinile (che fortunatamente sopravvivono con orgoglio), oggi invece sono le tante etichette eroiche e benemerite che ristampano certe rarità divenute oggetto di culto nel tempo. Nel primo caso fu ad esempio Red Hash, cult-record per pochi adepti licenziato nel 1973 da Gary Higgins, una specie di post-hippie dedito al fumo quanto al folk, uno che quando il disco venne pubblicato non poté nemmeno promuoverlo perché era in prigione a causa della prima delle due passioni. Nel secondo caso invece è la Drag City, piccola etichetta che su impulso di Ben Chasny (alias Six Organs Of Admittance) ha ristampato il disco con insperato clamore nel 2005, tanto da spingere il vecchio Higgins ad uscire da 35 anni di silenzio per registrare un secondo disco. Seconds, album registrato con il gruppo dei Random Concept (che comprende il figlio Graham alla chitarra), inizia esattamente là dove finiva Red Hash, da quel folk soffuso, sofferto e soffocato che oggi ha tanti adepti (a volte più per necessità di spartana autoproduzione che per urgenza artistica magari), e ad esempio Devendra Banhart potrebbe essere considerato un suo ottimo scolaro. Ma nel 1973 il genere trovava molti oscuri cultori in quel sottile trait d’union che legava il folk del Greenwich Village che fu, al nuovo brit-folk più stralunato (penso a Roy Harper, Shawn Phillips e ovviamente a Nick Drake, ma bisognerebbe tirare in ballo altri nomi persi nel tempo come Bill Fay magari). Sette brani suonati sfruttando l’intreccio di due chitarre acustiche con piano ed organo, con l’elettrica del figlio che ama molto ricamare le melodie tra una strofa e l’altra (un po’ alla Mark Knopfler) e che dona al disco una vena tutt’altro che alternativa, persino quasi mainstream (si ascolti Mr Blew, bella ballata classica che perde tutte le connotazioni psichedeliche del suo esordio). Il fulcro del disco è 5 AM Trilogy, lungo brano (13 minuti) diviso in tre momenti, dove affiorano gusti e soluzioni in voga quarant’anni fa, un ottimo tour de force strumentale, quanto un episodio forse anacronistico. Ma se questo tipo di excursus lisergico era in fondo quello che ci si aspettava da lui, il disco barcolla leggermente quando Higgins cerca le soffici ballate acustiche di drakiana memoria (When I Was Young, Ten-Speed) senza però avere la giusta ispirazione, ma soprattutto avendo anche una voce provata dal tempo, che finisce per risultare troppo secca e non sempre armoniosa. Bizzarro poi constatare che il finale di Don’t Wanna Loose ricordi tanto, per melodia, struttura e arrangiamento, un brano dei The The epoca Soul Mining, come dire che dopo quarant’anni Higgins è un vecchio maestro in pensione che deve copiare i suoi alunni (e Matt Johnson sicuramente lo era) per tornare sulla breccia. Seconds infatti è un disco più che discreto, ma nel 2009 deve competere con mille altri folk-singer di nuova generazione, e potrebbe anche non avere la meglio.
Nicola Gervasini
Nicola Gervasini
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