lunedì 29 novembre 2010
TIM ROBBINS - Tim Robbins and The Rogues Gallery Band
Ci sono dischi che un recensore spera ardentemente siano all'altezza delle aspettative, fosse solo per il fatto che certi personaggi predispongono a particolar benevolenza. Tim Robbins è uno di questi, un bravissimo attore, ma soprattutto un esempio di artista capace di coniugare successo, impegno e qualità come pochi ormai nel panorama hollywoodiano riescono a fare. Robbins è un uomo che ama raccontare storie, lo ha fatto tante volte attraverso le sue pellicole, spesso scomode e spinose, quanto sempre significative, ma evidentemente ne aveva troppe nel cassetto per poterle trasformare tutte in valide sceneggiature. Logico quindi riesumare quella parte del suo DNA che risale alla vita e carriera da folk singer del padre Gilbert Robbins, uno che bazzicava il Greenwich Village quando aveva senso farlo con gli Highwaymen (da non confondere con quelli di Willie Nelson e soci), e via dunque all'ennesimo salto di confine tra cinema e musica da parte di un attore in cerca di nuove vie espressive.
Robbins ha fatto le cose per bene, ha scritto nove splendidi racconti folk, con storie di vite altrui (agghiacciante la confessione del reduce dell'Irak in Time To Kill) mischiate alla propria, dove il recente divorzio dalla storica moglie Susan Sarandon aleggia come uno spettro senza però mai essere veramente affrontato (Queen of Dreams). "Non è un album sul divorzio, ma sul pre-divorzio" spiega lui, che avrebbe voluto infatti intitolarlo Midlife Crisis, proprio quella crisi di mezz'età in cui si mette in subbuglio una vita e ci si chiede come mai nel cassetto ci siano una quindicina di canzoni che nessuno ha mai sentito. Lui, nel pieno di questa depressione (complice anche una mezza bancarotta per un film mai andato in porto), le ha fatte sentire ad un produttore di serie A come Hal Willner, che gli ha subito procurato una band di prim'ordine (la Rogues Gallery Band) che annovera musicisti come Andy Newmark alla batteria (uno che dal 1970 ha suonato con il gotha del rock), la bella Kate St John ai fiati e fisarmonica e pure Roger Eno (fratello di Brian ovviamente…) alle tastiere.
Tutto bene quindi, salvo un piccolo ma non trascurabile problema: Tim non sa cantare, e non nel senso che non ha una gran voce (anzi, il timbro profondo potrebbe anche funzionare), ma proprio che non riesce mai dare vitalità al suo monotono colloquiare. E per una serie di brani molto verbosi, che si aggirano sempre tra i quattro e i sei minuti, la cosa non appare irrilevante, anzi, alla lunga rende l'ascolto difficoltoso, nonostante l'ospite d'onore Joan Wasser - alias Joan As Policewoman - si prodighi ad armonizzare con la voce il non armonizzabile. Un vero peccato, perché il personaggio meritava davvero una nuova occasione di applausi e perché i brani sono davvero di gran valore. Potremmo magari proporre un bel disco intitolato "Billy Bob Thornton sings Tim Robbins", e forse davvero il cinema invaderebbe la nostra musica con qualcosa di più che dei semplici capricci da star.
(Nicola Gervasini)
www.timrobbins.net
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