venerdì 24 gennaio 2014

ED KOWALCZYK

ED KOWALCZYK
THE FLOOD AND THE MERCY
Soul Whisper Records/V2
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L’alluvione e la grazia, cioè la fine di un sogno e la salvezza della musica. La storia di Ed Kowalczyk è tutta nel titolo del suo nuovo album, la vicenda di chi negli anni novanta toccava il cielo con un dito quando i suoi Live vendevano vagonate di cd (erano i tempi in cui questo poteva ancora accadere) grazie a singoli come Selling The Drama, ed è stato poi travolto dall’ondata di fallimenti di un mercato discografico che già prima del 2000 non riusciva più a rigenerare sé stesso. Dopo anni difficili Kowalczyck aveva già dato segni di ripresa a livello artistico con il precedente Alive (anche qui titolo più che significativo), ma The Flood And The Mercy pigia ancora più il piede sull’acceleratore. L’operazione è semplice: un colpo alla botte recuperando il suono dei Live, un pseudo-post-grunge che rivive già nell’iniziale The One tra chitarre effettate e ritmiche pesanti, e uno al cerchio sottolineando quella vaga somiglianza col suono dei R.E.M. e la vicinanza ad un certo mondo alternative-rock (quando ancora non lo si chiamava indie), subito sottolineato dal primo singolo del disco, la melodica Seven. In questo caso poi la vicinanza al gruppo di Athens viene accentuata dalla presenza di Peter Buck in ben sei brani, un tocco inconfondibile che dovrebbe suonare a garanzia di un prodotto commerciabile ma non necessariamente commerciale nel senso peggiore del termine. The Flood And The Mercy è in questo senso uno di quei dischi che cercano, a volte anche trovandolo, il perfetto equilibrio tra mainstream e strade secondarie, un po’ il destino della carriera di Kowalckyck, autore in fondo sottovalutato perché spesso troppo al servizio di sonorità radio-friendly, eppure in grado di toccare le giuste corde emotive quando in buona vena (Bottle Of Anything). Sarà che forse ormai il suo pubblico è invecchiato aspettando ancora che qualcuno faccia un rock ad alto voltaggio come Parasite, un brano che forse solo i Pearl Jam oggi fanno ancora così, o consegni ballatone acustiche come All That I Wanted. In quest’ultima poi affiora poi la voce di Rachael Yamagata (che lo aiuta ad armonizzare anche Holy Water Tears e Supernatural Fire), un altro nome che potrebbe aiutarlo a  trovare qualche porta aperta in più tra gli ascoltatori più esigenti del mondo indie e roots. Le ingenuità e le esagerazioni (il ritornello troppo forzato di Take Me Back ad esempio) ci sono, e sono da sempre un po’ il tallone d’achille dell’artista, ma nel complesso The Flood And The Mercy appare come il suo titolo migliore dai tempi di Secret Samadhi.
Nicola Gervasini


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