ED KOWALCZYK
THE FLOOD AND THE MERCY
Soul
Whisper Records/V2
***
L’alluvione
e la grazia, cioè la fine di un sogno e la salvezza della musica. La storia di Ed Kowalczyk è tutta nel titolo del suo
nuovo album, la vicenda di chi negli anni novanta toccava il cielo con un dito
quando i suoi Live vendevano vagonate
di cd (erano i tempi in cui questo poteva ancora accadere) grazie a singoli
come Selling The Drama, ed è stato poi
travolto dall’ondata di fallimenti di un mercato discografico che già prima del
2000 non riusciva più a rigenerare sé stesso. Dopo anni difficili Kowalczyck
aveva già dato segni di ripresa a livello artistico con il precedente Alive (anche qui titolo più che
significativo), ma The Flood And The
Mercy pigia ancora più il piede sull’acceleratore. L’operazione è semplice:
un colpo alla botte recuperando il suono dei Live, un pseudo-post-grunge che
rivive già nell’iniziale The One tra
chitarre effettate e ritmiche pesanti, e uno al cerchio sottolineando quella
vaga somiglianza col suono dei R.E.M. e la vicinanza ad un certo mondo
alternative-rock (quando ancora non lo si chiamava indie), subito sottolineato
dal primo singolo del disco, la melodica Seven.
In questo caso poi la vicinanza al gruppo di Athens viene accentuata dalla
presenza di Peter Buck in ben sei
brani, un tocco inconfondibile che dovrebbe suonare a garanzia di un prodotto
commerciabile ma non necessariamente commerciale nel senso peggiore del
termine. The Flood And The Mercy è in
questo senso uno di quei dischi che cercano, a volte anche trovandolo, il
perfetto equilibrio tra mainstream e strade secondarie, un po’ il destino della
carriera di Kowalckyck, autore in fondo sottovalutato perché spesso troppo al
servizio di sonorità radio-friendly, eppure in grado di toccare le giuste corde
emotive quando in buona vena (Bottle Of
Anything). Sarà che forse ormai il suo pubblico è invecchiato aspettando
ancora che qualcuno faccia un rock ad alto voltaggio come Parasite, un brano che forse solo i Pearl Jam oggi fanno ancora
così, o consegni ballatone acustiche come All
That I Wanted. In quest’ultima poi affiora poi la voce di Rachael Yamagata (che lo aiuta ad
armonizzare anche Holy Water Tears e Supernatural Fire), un altro nome che
potrebbe aiutarlo a trovare qualche
porta aperta in più tra gli ascoltatori più esigenti del mondo indie e roots.
Le ingenuità e le esagerazioni (il ritornello troppo forzato di Take Me Back ad esempio) ci sono, e sono
da sempre un po’ il tallone d’achille dell’artista, ma nel complesso The Flood And The Mercy appare come il
suo titolo migliore dai tempi di Secret
Samadhi.
Nicola Gervasini
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