lunedì 13 gennaio 2014

KATHRYN WILLIAMS

KATHRYN WILLIAMS
CROWN ELECTRIC
One Little Indian
***

Con dieci album all’attivo e una onorevole carriera nei bassifondi del folk inglese Kathryn Williams può ormai vantare anche il ruolo di maestra di stile e non più di alunna. Figlia di tante tradizioni che attraversano l’oceano da Sandy Denny a Joni Mitchell, la sua musica ha segnato gli anni 2000 mietendo molta stima di colleghi (ha fatto a tempo anche a lavorare anche con John Martyn), qualche vendita (un paio di titoli della sua discografia sono anche riusciti a trascinarsi nella Billboard inglese una decina di anni fa), senza però mai riuscire nel diventare un nome di punta di qualche movimento. Crown Electric spiega anche perché: l’artista ha una bella voce, conosce perfettamente tutti i trucchi del mestiere di folksinger e usa i giusti ferri del mestiere, vale a dire una base acustica impreziosita di volta in volta da elemento a rompere gli schemi, vuoi che siano i fiati di Out Of Time o gli archi alla Nick Drake/Robert Kirby sparsi un po’ ovunque (quanto sarebbe piaciuta ai due l’uggiosa Monday Morning?). E da buona maestra, presenta tutto in maniera ordinata e razionale: l’inizio soft di Undergound (Joni Mitchell ringrazia per l’ennesimo tributo indiretto), il momento intimista di Gave It Away, il singolo melodicamente accattivante di Heart Shaped Stone, l’intensità di Count: la partenza del disco trova stimoli e ottime canzoni. Ma da metà in poi la lezione comincia  a farsi ripetitiva, i giri di acustica non trovano più gli stessi sbocchi naturali dei primi pezzi e ad un certo punto ci si rende conto che in mezzo a tanto sfoggio di melodie malinconiche e archi sinuosi manca ancora qualcosa. E più che altro la sequenza Darkness Light - Picture Book – Morning Twilight - Grwen esagera forse un po’ troppo nelle tinte pastello, ed è solo la leggerezza di Tequila (con di nuovo una bella e discreta orchestrazione del produttore Neill MacColl) che riesce a riequilibrare il ritmo. Sequins (molto bella) e The Known  con il suo wurlitzer in evidenza chiudono il disco in maniera degna ma senza botto finale. Destino forse dei maestri di stile quello di non essere anche dei maestri di genio, e Crown Electric resta comunque un’ottima occasione per conoscere una cantautrice brava e anche importante nel nuovo panorama folk britannico. L’impressione che sia lei la prima ad accontentarsi di questo semplice merito è sempre più forte.

Nicola Gervasini

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