CROWN
ELECTRIC
One
Little Indian
***
Con dieci album all’attivo
e una onorevole carriera nei bassifondi del folk inglese Kathryn Williams può ormai vantare anche il ruolo di maestra di
stile e non più di alunna. Figlia di tante tradizioni che attraversano l’oceano
da Sandy Denny a Joni Mitchell, la sua musica ha segnato gli anni 2000 mietendo
molta stima di colleghi (ha fatto a tempo anche a lavorare anche con John
Martyn), qualche vendita (un paio di titoli della sua discografia sono anche
riusciti a trascinarsi nella Billboard inglese una decina di anni fa), senza
però mai riuscire nel diventare un nome di punta di qualche movimento. Crown
Electric spiega anche perché: l’artista ha una bella voce, conosce
perfettamente tutti i trucchi del mestiere di folksinger e usa i giusti ferri
del mestiere, vale a dire una base acustica impreziosita di volta in volta da elemento
a rompere gli schemi, vuoi che siano i fiati di Out Of Time o gli archi alla Nick Drake/Robert Kirby sparsi un po’
ovunque (quanto sarebbe piaciuta ai due l’uggiosa Monday Morning?). E da buona maestra, presenta tutto in maniera
ordinata e razionale: l’inizio soft di Undergound
(Joni Mitchell ringrazia per l’ennesimo tributo indiretto), il momento
intimista di Gave It Away, il singolo
melodicamente accattivante di Heart
Shaped Stone, l’intensità di Count:
la partenza del disco trova stimoli e ottime canzoni. Ma da metà in poi la
lezione comincia a farsi ripetitiva, i
giri di acustica non trovano più gli stessi sbocchi naturali dei primi pezzi e
ad un certo punto ci si rende conto che in mezzo a tanto sfoggio di melodie
malinconiche e archi sinuosi manca ancora qualcosa. E più che altro la sequenza
Darkness Light - Picture Book – Morning
Twilight - Grwen esagera forse un po’ troppo nelle tinte pastello, ed è
solo la leggerezza di Tequila (con di
nuovo una bella e discreta orchestrazione del produttore Neill MacColl) che riesce a riequilibrare il ritmo. Sequins (molto bella) e The Known con il suo wurlitzer in evidenza chiudono il
disco in maniera degna ma senza botto finale. Destino forse dei maestri di
stile quello di non essere anche dei maestri di genio, e Crown Electric resta comunque un’ottima occasione per conoscere una
cantautrice brava e anche importante nel nuovo panorama folk britannico.
L’impressione che sia lei la prima ad accontentarsi di questo semplice merito è
sempre più forte.
Nicola Gervasini
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