lunedì 9 giugno 2014

BAND OF SKULL

BAND OF SKULLS
HYMALAIAN
Electric Blues Recordings
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O la va, o la spacca si suole dire in questi casi. Nel 2009 gli inglesi Band Of Skulls erano arrivati in ritardo rispetto all’esplosione del fenomeno del nuovo blues-rock degli anni zero, quando gli White Stripes erano ormai storia passata e i Black Keys già in fase calante. Forse è per questo il loro terzo album Hymalaian rappresenta un po’ la prova del nove per capire quanto potranno contare in futuro. Se il precedente Sweet Sour aveva ricevuto consensi non sempre unanimi e una riposta di pubblico un po’ tiepida, è forse anche perché il disco insisteva su soluzioni da trio hard-blues da primi anni settanta, con una ricetta fatta con qualche riff rubato a Jimmy Page e un tocco di pop psichedelico per ingentilire il tutto. Himalayan invece gioca la carta della varietà, magari mettendo tutti tranquilli con i due brani iniziali (Asleep At The Wheel e la title-track), che perseverano nel più tipico stile della band, ma ben presto provando nuove vie stilistiche. Arrivano così il rock and roll (in senso zeppeliniano) di Hoochie Coochie, le melodie pop di Nightmares e della briosa Brothers And Sisters (uno di quei brani che si stampa nelle orecchie al primo ascolto), l’ipnotica psichedelia di Cold Sweat e addirittura un lento da accendino come You Are All That I Am Not. Una prima parte che soddisfa e diverte, ma che lascia sempre una strisciante sensazione di gruppo che gioca a essere qualcun altro, di poca personalità. Sensazione confermata da alcune deragliate nella seconda parte della scaletta. In I Guess I Know You Fairly Well Russell Marsden e Emma Richardson (il trio è completato dal batterista Matt Hayward) esagerano forse a sottolineare la componente pop con qualche coretto di troppo, mentre la spagnoleggiante Toreador appare come una risposta poco convincente alla Conquest che fu degli White Stripes era Icky Thump. Pienamente riuscita invece la tarantiniana Feel Like Ten Men, Nine Dead And One Dying', titolo e testo da commedia dell’assurdo che coglie nel segno. E nel finale c’è pure tempo per una arabeggiante Heaven’s Key e una Get Yourself Together in puro stile da estate dell’amore del 1967. Come dire “proviamole tutte, e qualcosa verrà fuori!” dunque. Eh sì, qualcosa effettivamente c’è. Quello che manca è però una band in grado di dire qualcosa di veramente importante, e forse cominciamo a essere fuori tempo massimo per diventarlo.

Nicola Gervasini

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