S.CAREY
RANGE OF LIGHT
Jagjaguwar
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Appurato che Justin
Vernon ha voluto rimarcare come il nome Bon Iver non sia solo un su alter ego
artistico, ma una vera e propria band, allora potremmo tranquillamente
presentare S.Carey, al secolo Sean
Carey, come il batterista dei Bon Iver. Già
titolare di un album nel 2008 (All We
Grow) e di un fugace Ep nel 2012 (Hoyas), Carey prova con questo Range Of Light a
capitalizzare il buon responso del mondo indie raccolto dal suo esordio. Peccato
però che dal 2008 ad oggi la scena è cambiata, lo stesso progetto Bon Iver ha
fatto a tempo nel 2011 a produrre un secondo album che imponeva già un radicale
cambio di rotta e di suono rispetto all’acclamatissimo For Emma, Forever Ago, ma lui pare non essersene troppo accorto. Range of Light infatti persevera nel
cercare un indie-pop sommesso e d’atmosfera, quasi che il nostro non si sia reso
conto che anche compagni di scuderia Jagjaguwas come gli Okkervil River hanno
da qualche anno capito che gli anni dieci non sono già più gli anni zero, e che
certi estremismi sonori e di non-ritmo prima o poi andavano superati. Invece Range Of Light s’impantana presto tra
giri di piano lascivi, vocalizzi armoniosi e suoni vicini all’ambient music. Un
peccato, perché il ragazzo sarà pur sempre un emulo del suo principale datore
di lavoro, ma ha comunque qualche buon argomento da esprimere. Ci si può farsi
avvolgere dalle trame di Glass/Film o
Crown The Pines, ma il problema è che,
per quanto poi i tempi non siano lunghissimi (36 minuti), l’album non prevede
cambi di rotta dopo il promettente inizio. Anzi, con Radiant, la pur intrigante Alpenglow e la più difficoltosa Fleeting Light si rallenta (se è possibile) ancor più, cercando un mood da dark-band anni ottanta (diciamo
alla Dead Can Dance) senza però averne né il fascino, né le grandi intuizione
sonore. Il disco si riprende con il bel giro acustica-steel guitar di The Dome, ma Neverending Fountain manca l’occasione del gran finale. Il più grande difetto di Range Of Light non è quindi tanto nella sostanza, quanto in una
forma che appare falsamente moderna, ma è forse quanto di più reazionario si
possa fare in pieno 2014.
Nicola Gervasini
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