Non si esagera mai troppo nel definire Joe Henry come una delle figure chiave della musica americana degli
ultimi vent’anni. Nato cantautore di matrice roots/country (da riscoprire perlomeno
gli album Shuffletown e Short Man’s Room), Henry è divenuto nel
tempo uno dei creatori di suoni (per sé e per altri artisti) più originali e
riconoscibili dello scenario americano. Personaggio schivo e poco animale da
palcoscenico, i suoi album hanno sempre raccolto grandi consensi di critica ma
piccoli riconoscimenti di pubblico. Pochi infatti magari sanno che da un brano
tratto dal suo capolavoro Scar del
2001 (Stop) sua cognata Madonna ha ricavato uno dei suoi maggiori
successi (Don’t tell Me), e che la
stra-nota e suadente Goodnight Moon
degli Shivaree era una sua intuizione da produttore. Invisible Hour (ANTI) nasce
dall’esigenza di ritrovare il folksinger che fu, abbandonando le pericolose
deviazioni di maniera nel mondo jazz delle ultime produzioni, e tornando a
concentrare gli sforzi sul semplice binomio words
& music. Statene lontani se cercate ritmo o arrangiamenti innovativi,
anche perché, dopo una partenza davvero straordinaria con Sparrow e Grave Angels, l’album ha comunque i suoi passaggi a vuoto. Il sound è scarno ma
curato, così voluto per fare da ossatura al lungo tour acustico (Italia
ovviamente esclusa) che gli servirà a fare il bilancio di una carriera senza
macchie.
Nicola Gervasini
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