Non ha più tanto quella certa aria da pusher di
strada Jesse Malin, ma gli anni
passano anche per i rocker più indomiti, e così anche lui. come un novello Lou
Reed, arriva a produrre il suo ragionato affresco della sua città. New
York Before The War (Little Indian) è il settimo album di questo
artista che negli anni 90 giocava a fare il punk con i D Generation, mentre
negli anni 2000 ha avuto una encomiabile carriera solista sponsorizzata da Ryan
Adams e Bruce Springsteen, con i quali condividi sensibilità d’autore (basta
sentire qui alcune ballate romantiche come Oh
Sheena) e poetica da riscatto del perdente di strada. Le sue strade però
sono quelle della grande mela, dove nasce questa summa del suo percorso
artistico, che ai tempi dello splendido Glitter
in the Gutter
del 2007 era anche andato vicino ad un certo successo. Ci sono piano-ballad
melodrammatiche (The Dreamers), ballatone in odore di REM (She’s so
Dangerous, ma Peter Buck si aggira nelle session), stilettate a suon di chitarre
secondo la vecchia lezione dei Replacements (Turn Up The Mains),
folks-songs (The Year That I Was Born) e quei flirt con il power-pop
danzereccio alla Blur di Boots Of Immigration e Death Star. La
rabbia giovanile è divenuta la saggia arguzia del buon osservatore, e così
Jesse Malin si appresta a diventare l’ultimo dei poeti di strada di New York, una
città che ha già avuto la sua terza guerra mondiale
Nicola Gervasini
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