Non è ancora ben chiaro se i Mumford & Sons siano
dei miracolati del “disco giusto al momento giusto” o se davvero possano
rappresentare una delle realtà guida di una certa musica folk-oriented degli
anni duemila, e di certo con il loro terzo album Wilder Mind (Island) la discussione sarà ancora più aperta. Eletti
paladini del movimento indie-folk britannico nel 2009 con l’album Sigh No More, straordinario quanto
inaspettato successo (più di un milione di copie vendute per un disco nato
indipendente) che ha ridato vita ad un mercato discografico che da sotterraneo
stava diventando sotterrato, la band di Marcus Mumford non aveva bissato con lo
stanco Babel del 2012. Arriva così la
più classica delle clamorose svolte stilistiche operata da una band con il
fiato corto a causa delle troppe aspettative. Potevano rimanere nella loro
pigra e piccola dimensione folk e non avrebbero fatto male a nessuno, invece
loro si lanciano in una rivoluzione elettrica coraggiosa quanto stordente.
Difficile non discutere davanti ad un brano come Believe, che sembra più adatto al repertorio da grandeur-rock dei
Muse che a quello di una band nata come espressione dei buskers di strada, ma fate
attenzione, perché in mezzo a tanta sovrapproduzione radiofonica troverete
anche tracce di un talento (la bella Tompkins
Square Park) che indica che questo pasticcio potrebbe essere un work in
progress verso uno stile tutto loro.
Nicola Gervasini
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