The Milk Carton Kids
Monterey
(Anti,
2015)
File Under:
Ryan & Pattengale Over Troubled Water
In Musica non è mai facile raggiungere il perfetto connubio
tra forma e sostanza. La sostanza, leggi anche il songwriting, è facile che sia
personale e possa avere quel pizzico di originalità che chiunque abbia
necessità di esprimersi riesce in qualche modo a mostrare. Ma la forma è
l’aspetto sempre più difficile, perché crearne una nuova è frutto di un
rarissimo mix tra genio, personalità e studio. E così la storia della musica è
piena, direi pure colma, di gruppi come i Milk
Carton Kids, duo (Kenneth Pattengale e Joey Ryan i loro
nomi) proveniente dalla California, giunto ormai al quarto album. Monterey
è infatti uno di quei prodotti formali e formalmente perfetti, in cui il
modello del duo soft-folk acustico, che dagli ovvi riferimenti a Simon &
Garfunkel e Everly Brothers passa attraverso la lezione poppish degli America
per arrivare ai Lumineers e al nuovo easy-folk revival, viene assunto a unico
obiettivo finale. E’ difficile trovare difetti ai loro intrecci di chitarre
acustiche, o riscontrare smagliature negli impasti vocali che suonano a lungo
provati (esercitatevi ad improvvisare anche un brano semplice semplice come Getaway, non ci riuscirete se non dopo
molte prove). Impossibile non ritrovare sapore di ascolti antichi in una
apertura come Asheville Skies, nel
pigro incedere della title-track, per cui Paul Simon potrebbe chiedere
partecipazione al copyright a prescindere dal numero di battute uguali ad uno qualsiasi
dei suoi brani. E qui sta un po’ il bello e il brutto dei Milk Carton Kids, e
cioè che sono i nuovi capostipiti di una corrente puramente estetica ed
estetizzante del roots di questi anni dieci, dove la forma è tutto, e oltretutto
serve solo a rinnovare una tradizione che i giovani sembravano aver perso (anche
se poi il successo dei Lumineers ha dimostrato che a volte è solo questione del
pezzo giusto al momento giusto e non di sonorità il vincere la guerra della
rete in numero di ascolti e download). A noi però resta un disco piacevole
quanto impalpabile, perché la sostanza manca di quel grado di personalità che
li faccia elevare tra la folla, perché in tutto il disco non c’è un solo
momento in cui si prova ad uscire da uno schema, nessuna piccola auto-violenza,
nemmeno qualche piccolo atteggiamento da indie moderno per cui si possa
presentarli come i nuovi Kings Of Convenience. C’è solo la pura forma di brani
perfettini come Freedom (che rimanda
ad America di Simon), qualche occhiatina a Nashville (High Hopes), ma nulla di più. Se è di forma che avete bisogno,
allora Monterey è il disco per voi: è
ineccepibile e inattaccabile. Se invece ancora credete nella sostanza, sappiate
che arriverete alla fine dei 37 minuti riscoprendo il significato di noia e
banalità. A voi la scelta.
Nicola Gervasini
Nessun commento:
Posta un commento