Ron Sexsmith
Carousel One
(Compass
Records, 2015)
File Under:
Tim Hardin followers
Il vantaggio di seguire la
carriera di Ron Sexsmith è che non c’è grande pericolo di perdersi qualche
puntata fondamentale. Fin dal suo bell’esordio datato 1995, il buon Ron ha
sfornato titoli con regolarità, non offrendo mai niente di molto diverso dal
suo standard iniziale. Si tratta quindi di decidere se vedere il bicchiere
mezzo pieno (in fondo nessuno dei suoi album può essere classificato come
brutto, anzi…) o il bicchiere mezzo vuoto (di fatto l’uomo sembra riscrivere la
stessa canzone da vent’anni). Carousel One, quattordicesimo
capitolo della sua saga, non cambia la sua storia, anche se la produzione
dell’esperto Jim Scott (Foo Fighters
e Wilco tra i suoi clienti) pare dare qualcosa in più rispetto agli ultimi
capitoli. Ron poi in fase di scrittura non si risparmia mai, e anche questa
volta offre un menu di ben sedici 2-3-minute
songs concentrate in 51 minuti, in cui non è mai semplice isolare quanto
davvero vale la pena. Perché poi ancora una volta il punto è sempre quello:
Sexsmith sa scrivere, sa cantare, sa anche ogni tanto provare a uscire dal
seminato della sua solita slow-song melliflua (Getaway Car), ma alla fine non sa mai andare oltre il suo stile.
Incapace di violentarsi stilisticamente, il nostro trova qui abbastanza lampi
di ottimo songwriting per giustificare l’acquisto anche di questo nuovo album,
ma non sufficienti motivi per considerare i suoi dischi dei punti di
riferimento nel 2015. Eppure in fondo gli va storicamente riconosciuto il
merito di aver anticipato molto di quello che sarà la canzone d’autore degli
anni 2000, con palesi influenze sia in ambito roots che in ambito indie-folk.
Eppure se Saint Bernard, Lucky Penny o Lord knows portano nuove gemme al suo
già ben nutrito songbook, il complesso ancora una volta lo vede adagiarsi sul
suo tran-tran espressivo con brani di
ordinaria medietà come Sun’s Coming Out
o All Our Tomorrows. Poco male, in
qualche modo siete già avvertiti sul contenuto ancora prima di ascoltarlo, e
magari poi dalla sensibilità di ognuno dipenderà se vi innamorerete o no del country
suadente di Loving You, della
spensierata Before The Light Is Gone o
di numeri alla Tim Hardin come No One,
alla Elvis Costello come Many Times o
del giro di piano alla Roy Bittan di Can’t
Get My Act Together. Nel finale poi trovate anche la cover che aggiunge
sale alla zuppa, con una bella resa di Is
Anybody Goin' to San Antone (brano reso da famoso da Charlie Pride, ma la
versione di Sexsmith guarda naturalmente a quella di Doug Sahm). Per cui
suonala ancora Ron, noi sapremo già cosa aspettarci.
Nicola Gervasini
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