Francesco De Gregori
Amore e Furto
Ammettiamolo, alla notizia di un album di cover dylaniane da
parte di Francesco De Gregori, anche al suo più fervente fan è venuto naturale commentare
ironicamente che in fondo lui sono più di quarant’anni che rifà Bob Dylan. E se
lui stesso ha ammesso di aver rubato spesso in casa del ladro (lo stesso Dylan
è un esperto ruba-melodie, secondo la buona tradizione folk per cui il plagio
non è un reato, ma il fondamento dell’arte), e comunque non nasconde una certa
rispettosa sudditanza artistica, va però notato che dal punto di vista delle
liriche non c’è niente di più lontano dalla verbosità del Dylan più classico
del suo noto ermetismo. Per questo Amore
e Furto (Caravan/Sony) desta comunque curiosità, al di là dell’ottima
produzione e riuscita del progetto, perché De Gregori si è costretto a non dire
tutto in poche frasi, ma si è adattato al fluire delle parole dylaniane con
grande opportunità. Non è la prima volta che ci prova, e di fatto qui vengono
recuperate le già note Non dirle che non è
così (in cui già aveva reso alla grande un testo difficilissimo come If You See Her say Hello), e la mastodontica
Via Della Povertà, scritta nel 1974 con
De Andrè. Sentendosi comunque a casa, De
Gregori svolge il compito con devozione, ma anche concedendosi un auto-plauso
attraverso scelte lessicali decisamente personali, e persino una lunga serie di
autocitazioni che potrebbero sembrare irriverenti. Corretto il titolo dunque,
ma all’amore incondizionato e al furto benemerito, aggiungerei anche una sorta
di investitura all’unico autore italiano che è stato veramente capace di
conciliare canzone americana e melodia nostrana, uscendone Autore con la
maiuscola e non solo seguace. Ai dylaniani veri giudicare le singole versioni (I Shall Be Released ha un coro un po’
fuori luogo, e non tutti i versi dell’intraducibile Subterranean Homesick Blues hanno il ritmo giusto, mentre Sweetheart Like You gli si cuce addosso
fin dai primi versi) o scoprire se esistevano titoli a lui più affini (ma lui
saggiamente pesca parecchio dal repertorio più recente), agli altri un pugno di
ottimi brani nella nostra lingua che un italiano, comunque, non avrebbe mai
scritto così.
Nicola Gervasini
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