Andrea
Van Cleef
Horse
Latitudes
(2024, Rivertale
Productions)
File
Under:The Dark Side of Italy
Lo seguiamo da tempo il
bresciano Andrea Van Cleef, fin dai tempi dei Van Cleef Continental o di
album come il westcoastiano Sundog (2012), il più essenziale Tropic
of Nowherem dove riaffioravano le sue origini di stoner-rocker, o la
collaborazione, uscita in pieno lockdown, con Diego Deadman Potron (Safari
Station, prodotto da Don Antonio), per citare quelli più significativi. Ed
è quindi senza sorpresa che lo ritroviamo autore di un prodotto decisamente maturo
e di livello come Horse Latitudes, disco che unisce le due anime dei
luoghi in cui è nato, visto che è stato registrato parzialmente in USA negli Smilin'
Castle Productions di Rick Del Castillo (spesso collaboratore per le
colonne sonore di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez), in cui sempre più
spesso anche gli autori nostrani trovano modo di respirare l’aria giusta per un
più fedele sound americano (anche Cisco Bellotti ci ha registrato il suo Indiani
e Cowboy ad esempio).
Il grosso del lavoro è stato
comunque realizzato a Montichiari, dove Van Cleef ha riunito una serie di
collaboratori fidati per un album che ancora più che in passato sottolinea
l’amore per un certo gothic-country o dark-folk, che rievoca ovviamente Mark
Lanegan (la voce di Van Cleef lo cerca spesso), Woven Hand o Handsome Family,
ma anche il mondo musicale che ruota in torno a Nick Cave (in particolare ci
trovo affinità con il lavoro di Hugo Race in questo album).
Esauriti i crediti e i
riferimenti però, resta un disco di ottimi brani autografi che colgono in pieno
il sentimento dei nostri tempi, come The Longest Song, Come Home o Fire In
My Bones. Buon peso hanno anche le collaborazioni, come le voci degli The BlackJack Conspiracy nella iniziale Horse
Named Cain (anche singolo dell’album, con video girato sul Tonale),
l’intervento della cantautrice Ottavia Brown (anche lei bresciana,
nota anche come illustratrice) in Love Is Lonely e, soprattutto quella
del mitico sassofonista dei Morphine Dana Colley nell’intenso finale
di The Real Stranger. Si segnalano particolarmente Slaughter Creek per
il fine arrangiamento e il quasi brit-folk di The Disappearing Child, e
soprattutto una convincente cover di Ooh La La, brano dei Faces (lo
cantava Ron Wood nell’originale, anche se Rod Stewart poi ne farà una versione
propria), che pare discostarsi un poco dalla sensibilità dark del disco, ma
costituisce forse un necessario elemento di rottura di un album molto omogeneo
e senza sbavature. Horse Latitudes conferma infatti quanto la scena “roots” italiana abbia
particolarmente a cuore i toni del lato più oscuro della scena americana, suono
che direi che Andrea Van Cleef governa al meglio ormai non da pochi anni.
Nicola Gervasini
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