The Jesus and Mary Chain - Glasgow Eyes
2024, Fuzz Club
Chi c’era se lo ricorderà, era il 1989, e dopo due album come Psychocandy (1985) e Darklands (1987), che avevano già fatto in tempo a diventare di culto e a dare il via ad un domino di band che amava nascondere il volto dietro un muro di chitarre distorte (di fatto si erano inventati lo shoegaze senza saperlo), i Jesus and Mary Chain fecero con Automatic il fatidico passo che non ti aspetti. Oggi, pronti a celebrare i 40 anni di vita con un Tour (per ora unico appuntamento italiano a Milano il prossimo 17 aprile), una autobiografia e un nuovissimo album intitolato Glasgow Eyes, ecco che la band dei fratelli Reid ci riprova a rimescolare le carte, e se nel 1989 era una drum-machine e un basso sintetico (a posteriori anche abbastanza pesanti e grezzi, sebbene Automatic resti un disco pieno di canzoni importanti) la pietra dello scandalo, oggi sono delle basi elettroniche che sorreggono praticamente tutti i brani del nuovo album.
La differenza è che oggi nessuno
griderebbe mai allo scandalo se i Reid si presentano citando Kraftwerk e
Suicide come numi tutelari del nuovo disco, se si azzardano a dire che stavolta
la libera improvvisazione delle chitarre si ispira ai loro ascolti jazz, perché
è il 2024, e gli steccati mentali che negli anni 80 animavano pubblico e
critica sono ormai cambiati, se non proprio caduti. Semmai è positivo che dopo un comeback-record
che semplicemente cercava di recuperare il suono di un tempo per dimostrare che
nulla era cambiato (Damage and Joy del 2017), Glasgow Eyes dimostra un po’ più
di coraggio e voglia di metterci la testa. Inutile quindi fare paragoni con il
loro passato, i fratelli Jim e
William Reid qui sfornano tutto il loro migliore campionario di chitarre acide,
voci sofferte e strozzate, e brani come l’accattivante singolo Jamcod o American
Born suonano come dei nuovi classici della band.
Ma al
di sotto pulsano ritmiche e suoni sintetici che in alcuni casi ottengono l’effetto
desiderato (Venal Joy), in altri magari paiono più forzati e in fondo non così
né nuovi né necessari (Chemical Animal). Quella di sposare un suono per un
intero album, a costo anche di finire a ripetersi, è sempre stata un po’ una loro
peculiarità, pensiamo, oltre al già citato Automatic, anche al sound elettro-acustico
adottato in Stoned & Dethroned del 1994, che veniva reiterato per tutto il
disco, con l’effetto di far sembrare un po’ tutte simili le canzoni, e anche
qui, trovata la formula, eccoli seguirla fedelmente dall’inizio alla fine.
Rispetto al tutto sommato dimenticabile predecessore però qui i Reid scrivono
brani più convincenti, che parlano ad un pubblico ormai invecchiato che sorriderà
per un titolo come The Eagles and The Beatles, o per l’autoironica Hey Lou
Reid, o valuterà pure positivamente la finta soundtrack, sperimentale quanto
sarcastica, di Mediterranean X Film.
Insomma,
i Jesus and Mary Chain si sono convinti che se proprio bisogna vivere di revival
e festeggiare compleanni importanti come i 40 anni di attività, meglio farlo
con un minimo di umorismo ed energia, e magari rimestando un po’ la minestra
del classic rock, che ormai comprende anche questo tipo di elettronica
essenziale, che sperimentale ormai non è più da anni.
Nicol
Gervasini
VOTO: 7
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