02/03/2009
Rootshighway
VOTO: 8
Come si fa a giudicare serenamente Buddy Miller dopo che è appena stato nominato "Artista del decennio" dalla rinsavita rivista No Depression? E soprattutto, come si fa a giudicare senza condizionamenti Written In Chalk, il suo secondo disco licenziato in coppia con la moglie Julie, appena dieci giorni dopo che lui ha rischiato di lasciarci le penne sul palco? E che palco! Buddy è stato colpito da infarto il 19 febbraio scorso a Baltimore, mentre era coinvolto in relazione extra-coniugale con ben tre donne, vale a dire Emmylou Harris, Shawn Colvin e Patty Griffin, (il "3 Girls with Buddy" tour, spettacolo che qui in Italia possiamo solo sognarci). Nulla di morboso in verità, Buddy stava solo facendo per loro quello che fa ormai da più di vent'anni con la sua chitarra: la colonna, la trave portante delle migliori performances di Steve Earle o Lucinda Williams, per non parlare del trionfale tour fatto a seguito del pluridecorato duo Robert Plant - Allison Krauss lo scorso anno. Per la cronaca Miller si è salvato, gli hanno messo tre bei by-pass, e a 56 anni suonati potrebbe anche voler dire che forse dovrà rinunciare a offrire i suoi servigi di grande chitarrista a qualche donna in meno in futuro.Per cui pur cercando di non scadere nell'agiografia che il personaggio comunque meriterebbe, diciamo subito che questo Written in Chalk è ancora una volta un prodotto superiore alla media. Non è un "suo" disco, neppure un disco di un duo, ma è il prodotto di una famiglia di grandi musicisti, la summa di tutta una scena di quella Nashville progressista e illuminata che in Italia è particolarmente poco apprezzata e seguita. Una bella armonia di gruppo dove persino una primadonna come Robert Plant duetta in What You Gonna Do Leroy di Mel Tillis con una modestia e una compostezza che ne evidenzia la paura di rovinare un così perfetto equilibrio. Le chitarre di Buddy qui suonano persino strabilianti per profondità del suono in alcuni momenti (One Part, Two Part), e ormai anche come vocalist ha l'esperienza adatta per toccare sempre le corde adatte (Hush, Sorrow e la stessa Chalk), ma è di Julie Miller che avremmo dovuto parlare. E' lei infatti che scrive un lotto di brani da applausi, per intensità dei testi e perizia melodica (ascoltate June e Everytime We Say Goodbye), è lei poi che li interpreta con una classe e maturità che le permettono di sfidare anche un episodio jazzy come A Long, Long Time senza scadere nel calligrafico. E' in grande forma Julie, decisamente pronta a riprovare a camminare anche con le proprie gambe, le stesse che anni fa ci diedero album deliziosi come Blue Pony, e così perfino i cameo di Patty Griffin (nella dolcissima Don't Say Goodbye) e di Emmylou Harris (The Selfishness Of Man) finiscono solo per essere credits superflui. Avremmo forse dovuto rilevare che Written in Chalk non è un apice, ma un approdo, l'album che cementa un percorso che forse aveva già trovato nello splendido Universal United House of Prayer del solo Buddy la sua piena apoteosi, e notare magari che ormai la sicumera di questi attempati signori nell'offrire il loro country-rock degli anni 2000 rasenta quasi la pura accademia, soprattutto nei divertenti ma di base risaputi episodi più bluesy e sudisti come Memphis Jane, Ellis County o la divertente Gasoline And Matches. Ma per approfondire e notare le pecche avremo sicuramente un'occasione più adatta. (Nicola Gervasini)
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