venerdì 10 aprile 2009
DEAN OWENS - Whiskey Hearts
30/03/2009
Rootshighway
VOTO: 6
Razza tosta quella scozzese, sempre pronta a difendere a spada tratta qualsiasi cosa abbia l'odore del whiskey di casa. Nelle note di copertina di Whiskey Hearts un'entusiasta Irvine Welsh scrive che si può anche passare tutto il giorno pescando qui dentro influenze folk, rock&roll, blues, country e punk, ma gli piace pensare a Dean Owens come ad un semplice "soul boy". Sarà che da italiani non possiamo partecipare a tanto compiaciuto cameratismo scozzese, ma a noi più che altro Owens ha fatto pensare ad un'artista che rimbalza da un'influenza all'altra come una pallina da biliardo, senza mai esibire nulla di veramente proprio. Ma se Welsh, scrittore diventato mito dopo il successo di Trainspotting, ha scelto lui per commentare un suo recente film per la tv (Good Arrows), una qualche ragione ci sarà.
Owens ci spiega il senso del disco in un video di quindici minuti incluso nel cd, una piccola intervista che lo vede scorazzare per gli Stati Uniti, raccontando il mito dell'America con cappello da cowboy dal parco del Joshua Tree, felice di aver registrato il disco nel Tennessee con musicisti che sono mito per lui come per noi. Il suo intento era di realizzare un bell'excursus sugli stili yankee a lui più familiari, e sotto questo aspetto queste dieci tracce dimostrano che il ragazzo ha studiato bene i fondamentali del mestiere. Owens gioca con gli stili, passa attraverso grossolani sax springsteeniani (Years Ago), energici jingle-jangle rock (Hallelujah) o affettati cool-pop alla Style Council come Beth On The Trampoline. Oppure semplicemente si avvia nel roots-rock più ovvio e mainstream di Just Another Sunday o nella zoppicante apertura di Sand In My Shoes, fino ad arrivare a pop rurali senza spina dorsale come Adrift e Miss You Ca. Whiskey Hearts, è un prodotto nato nella polvere e impreziosito dalla chitarra spinosa di Will Kimbrough, credenziali perfette per un disco perlomeno interessante, ma il risultato appare essere troppo perfetto, troppo elegante e ricercato per essere anche verosimile.
Il problema non sono tanto le canzoni, in sé per sé nella media del genere, quanto nella sua vocalità stanca e spersonalizzante, e nella sua tendenza a infiocchettare il tutto con suoni leggeri e carezzevoli, tanto che anche una buona ballata come Raining In Glasgow finisce per sembrare la colonna sonora di una commediola americana di cassetta a causa di quel suo plin-plin di pianoforte così ovvio e invadente. Contenti comunque di condividere con lui miti e suoni, soddisfatti anche quando Owens lascia un po' da parte l'America e fa il folksinger di marca celtica, finendo per offrire in questa veste i due episodi migliori del disco (Man From The Leith e la stessa Whiskey Hearts che chiude bene il cd). Il viaggio è sempre bello, il bigino di storia della musica americana è completo, ma della personalità dell'artista si ravvisano ancora troppi pochi segni. Un difetto non da poco in un mondo pieno di validi e capaci scolaretti del rock.
(Nicola Gervasini)
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