Buscadero
Aprile 2009
VOTO: 7,5
Israeliano trapiantato a Boston e cresciuto nel New Jersey, Eef Barzelay rappresenta da ormai dieci anni un irrisolto mistero della scena indipendente americana. Leader (e spesso dispotico one-man-band) dei Clem Snide, il geniale artista sta conducendo la propria carriera in maniera piuttosto disordinata, all’indomani dell’accoppiata di dischi della band (il consigliabile a gran voce The Ghost Of Fashion del 2001 e The Soft Spot del 2003) che ne hanno decretato il plauso della critica. Poi, dopo un disco piacevole ma indeciso sul da farsi come End Of Love e i mille cambi di formazione, sono arrivati i tira e molla sul fatto che la band fosse ancora un’entità reale o si potesse definitivamente ritenere sciolta. Anche perché da allora Barzelay sta pubblicando a suo nome, prima con l’acustico e involuto Bitter Honey del 2006, e ora con questo ben più strutturato Lose Big. Un disco che aumenta la confusione in merito alla sua carriera, registrato nel 2006 in contemporanea all’annuncio dello scioglimento della band, uscito con distribuzione autoctona negli Stati Uniti nell’aprile 2008, ma pubblicato in Europa con tutti i crismi del caso solo nel 2009, proprio quando Barzelay ha già annunciato per quest’anno un ritorno discografico dei Clem Snide. E ci verrebbe da dire che forse non era il caso di annunciarlo, visto che già questo sorprendente Lose Big potrebbe essere considerato l’ideale prosecuzione del percorso della band, e il fatto che questa nuova versione per il nostro mercato contenga due bonus-track derivanti dalle vecchie sessions con i Clem Snide, non fa che aumentare la confusione tra i teorici progetti solisti e il percorso maestro. E tra l’altro le due bonus non appaiono un contentino da poco: Me No è un avanzo del registrato ma mai uscito sesto disco dei Clem Snide intitolato Hungry Bird, in sostanza registrato dal solo Barzelay con l’ausilio della batteria di Ben Martin, ed è uno stupendo pop crepuscolare alla Robyn Hitchcock che davvero spiaceva perdersi, così come piace anche l’ariosa melodia di I Love The Unknown, addirittura uscita dalle session di Your Favorite Music, secondo disco del 1999. Due brani che aggiungono valore ad un disco che già aveva strappato più di un applauso per eclettismo, eccentricità concludente, e capacità di maneggiare idiomi rock disparati con gran maestria. Could Be Worse attacca con un bel riff da power-pop, mentre piace tantissimo la quasi brit-pop The Girls Don’t Care, forse fin troppo echeggiante la Creep dei Radiohead che furono, ma brano che tocca corde dolorose con il ritratto di un uomo con grandi difficoltà nel parlare con le ragazze poco interessate a temi di per lui fondamentali (come si fa a comunicare con qualcuno che non ascolta Frank Zappa, i Faust, i Can e Coltrane, si chiede il disperato e solitario Barzelay?). Solitudine anche nella delicata nenia acustica di Take Me, mentre How Dare They si lancia in un tango distorto e allucinato che strizza l’occhio ai Los Lobos più sperimentali. Davvero strabiliante Apocalyptic Friend, lettera aperta ad un pessimista cronico, brano evocativo che rappresenta il centerpiece del cd. “Uno più uno fa tre”: basterebbe il primo verso di Numerology a far capire il mondo di Barzelay, illogico e mai scontato, come quello degli Eels ad esempio, che brani come Make Another Tree o Song For Batya indicano come il riferimento più evidente per descrivere il suo stile. La seconda parte del cd non tiene forse il gran livello della prima, sebbene convinca anche in veste da puro folk-singer (True Freedom), e anche se l’ottima cavalcata elettrica di Lose Big resta uno dei brani più interessanti del disco. Registrato a Nashville sotto l’ala del bassista e tastierista Jared Reynolds, Lose Big potrebbe essere la giusta ripartenza di una mente creativa determinante di questo nostro caotico decennio musicale.
(Nicola Gervasini)
(Nicola Gervasini)
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