domenica 7 giugno 2009
TOM BROSSEAU - Posthumous Success
22/5/2009
Rootshighway
VOTO: 5,5
Cominciano ad avere una certa età i tanti folk singer di questo inizio millennio, spuntati come funghi grazie alle nuove opportunità del mondo indipendente, ed è forse giunta l'ora di fare qualche bilancio su alcuni personaggi. Prendiamo ad esempio Tom Brosseau e il suo nuovo lavoro Posthumous Success, splendido titolo, da vero loser, considerando che lui è vivo e vegeto e pure in buona forma. Sarà che da sempre Tom invoca lo spirito sarcastico di Phil Ochs tra i suoi numi tutelari, lo stesso che nel 1970 s'inventò il primo Greatest Hits fatto da un'artista che di hit in classifica non ne aveva mai visto neanche l'ombra. Brosseau comincia ad essere un veterano del genere, è attivo fin dalla fine degli anni 90 e questa è la sua ottava uscita ufficiale. Mai niente di eclatante finora, solo tante piccole belle raccolte di folk-songs capaci e accattivanti, quanto basta per poter ricordare per lo meno What I Mean To Say Is Goodbye del 2005 e l'altro disco prodotto per la Fat Cat, Empty Houses Are Lonely del 2006, come titoli importanti per approfondire l'argomento.
Appare invece subito evidente che il successo postumo del titolo di questo nuovo capitolo difficilmente arriverà grazie a queste tredici frattaglie musicali. Nonostante sia forse il suo disco più studiato e minuziosamente prodotto, con gran dispiegamento di strumenti e suoni, le canzoni di Posthumous Success conservano quella sensazione di precarietà che era già apparsa evidente nel precedente Grand Forks e ancor più nella raccolta di demo acustici Cavalier. E forse è il caso di cominciare a far capire a questi artisti che dopo più di dieci anni on the road non possono più permettersi di infarcire un disco con una serie di inutili e scolastici strumentali (Boothill, Chandler e Youth Decay), che si beano del pling pling della sua chitarra senza molta sostanza. Sarebbe il caso di fargli capire che se si ha la fortuna di veder spuntar fuori dalla propria penna una buona canzone come Favourite Colour Blue, non è il caso di bruciarla in una poco invitante veste acustica subito all'inizio del cd, se poi la si recupera alla fine del disco in un ottima versione full-band. Sarebbe il caso di fargli capire che se quando s'impegna azzecca una canzone come Big Time, perché allora perdersi negli strani controtempi di Axe & Stump, o scivolare in una canzonetta senza grande futuro come Been True.
Si ha la sensazione che episodi come New Heights, Drumroll o la pur buona Wishbone Medallion avrebbero potuto volare più alto con qualche idea meno ingarbugliata. Brosseau è sempre rimasto al palo per la sua attitudine decisamente lo-fi e le non-produzioni della sua musica, ed è quindi giusto che abbia tentato una svolta che sa di maturità e crescita artistica. Ma se i risultati sono quelli rovinosi ascoltati in You Don't Know My Friends, vero pastrocchio sonoro da skippare in gran fretta, allora ridateci il vecchio folk sincero e amatoriale di un tempo.
(Nicola Gervasini)
www.tombrosseau.com
www.myspace.com/tombrosseau
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