sabato 20 giugno 2009

THE TRAGICALLY HIP - We Are The Same



Giugno 2009
Buscadero


VOTO: 7


Qualsiasi canadese potrebbe prendervi per pazzo se, elencando i grandi nomi della loro musica, vi dimenticaste dei Tragically Hip, una band pressoché ignorata dalle nostre parti, anche quando nei primi anni novanta sfornavano piccoli capolavori di college-rock a metà tra reminiscenze del REM-sound e le asprezze dell’alternative-rock dell’epoca (da recuperare perlomeno Up to Here del 1989 e Fully Completely del 1992). Il gruppo di Gordon Downie in questi anni non ha mai smesso di pubblicare dischi e vivere on the road, sempre con un successo limitato alla propria patria natia. We Are The Same è il loro dodicesimo album in studio, e rappresenta un nuovo punto di svolta per chi, come loro, ha fatto del suono della chitarra il proprio marchio di fabbrica. Potremmo definirlo il loro “album pop”, se non fosse che la brit-music ha da sempre rappresentato un elemento più o meno nascosto del loro rock, ma è certo che spiazza un po’ sentire un loro disco iniziare con una Morning Moon che fa tanto Morrissey, o sentirli alle prese con un pop con ritmo sincopato come Coffee Girl (non a caso la protagonista del brano ascolta “la vecchia Cat Power e il classico Beck” mentre serve ai tavoli). Sembra quasi che Downie abbia volutamente cercato l’impatto immediato, quello che fa si che brani come The Exact Feeling o Honey, Please possano essere memorizzati con facilità, ma fortunatamente c’è anche molto di più. Il disco infatti potrebbe essere considerato una sorta di concept sul male del vivere quotidiano, e in questo senso è davvero splendida la lunga parte centrale costituita dai sei minuti di Now The Struggle Has A Name e dai 9 della The Depression Suite (bastano i titoli per rendere l’idea), indolenti melodie da pomeriggi uggiosi infarcite di archi struggenti e testi mai troppo esagerati. I momenti rock non mancano, Speed River e Frozen in My Tracks affilano i riff di chitarra quanto basta per ricordare quanto rumore sappiano fare quando vogliono, ma la produzione di Bob Rock, un veterano dell’hard rock da radio FM americana (Metallica, Motley Crue e Bon Jovi tra i suoi assistiti), tende sempre a tenere tutto nel rassicurante recinto della facile fruibilità, con qualche inevitabile scivolone nel mainstream (Love Is The First). Meno male che il finale di Country Day - che sembra una delle migliori ballate degli Hoodoo Gurus che furono - ci riconsegna il classico suono degli Hip. Chiusura alla grande per un disco molto intrigante quanto irrisolto, e ancora non pienamente convinto sulla nuova strada da intraprendere. Forse prossimamente, con un produttore più coraggioso, si potrà dare miglior forma a tanto ben di dio.
Nicola Gervasini

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