James
Yorkston and the Second Hand Orchestra – The Wide, Wide River
Domino, 2021
Ci si potrebbe anche chiedere
come mai, dei tanti autori della folk music britannica, solo James Yorkston
ottiene sempre così tante attenzioni e riconoscimenti anche da stampa e
pubblico innamorati dell’indie-folk moderno. In fondo lui è uno scozzese che,
pur non essendo ancora cinquantenne, potrebbe tranquillamente essere
artisticamente un coetaneo di Michael Chapman o di uno Steve Tilston, per
citare due vecchi leoni della chitarra acustica ancora pienamente attivi, e di
certo la sua musica non è figlia di questi anni duemila. Eppure, fin
dall’esordio Moving Up Country del 2002, Yorkston ha sempre trovato la perfetta
sintesi tra il non suonare completamente sorpassato e il non mollare di un
centimetro l’amore per la tradizione e per una musica fatta di strumenti acustici
e soffici melodie. Non fa eccezione The Wide, Wide River, disco anche
più facile all’ascolto rispetto ad altre sue uscite più recenti, e che potrebbe
anche ripetere l’exploit di suoi titoli come Just Beyond the River del 2004 e When
the Haar Rolls Indel 2008, che entrarono addirittura nella Billboard inglese.
L’iniziale Ella Mary Leather, nei suoi poco più di tre minuti, sembra infatti
rispondere perfettamente alle attuali esigenze di immediatezza e brevità (quasi
un folk-pop potremmo dire), ed’ è sapientemente piazzata all’inizio per mettere
subito chiunque a proprio agio. Ma Yorkston anche questa volta concede senza
però rinunciare a nulla, per cui subito dopo ecco arrivare la lunga e intensa To
Soothe Her Wee Bit Sorrows, che è uno di quei brani giocati sul dialogo
chitarra e violino che suona familiare solo a chi davvero mastica brit-folk da
tempo. Ma è evidente che il disco nel
suo proseguo cerchi un ponte tra tradizione britannica e una indole cantautoriale,
e se Choices, Like Wild Rivers ci va vicino a trovarla, la splendida Struggle,
una ballata che potrebbe appartenere al Josh Ritter più ispirato, ci riesce in
pieno, e rappresenta l’highlight dell’album con la tesa cavalcata di There is
No Upside che la segue. Un esempio ancora più chiaro è A Very Old-Fashioned
Blues, brano che se vi dicessero che è una outtake di Bonnie Prince Billy, ci
credereste pure. Il disco esce cointestato con la Second Hand Orchestra,
collettivo di musicisti svedesi capitanato da Karl-Jonas Winqvist (artista con
cui Yorkston aveva già collaborato in passato), e in cui militano nomi
importanti della scena come Peter Morén, Cecilia Österholm e Emma Nordenstam,.
Il disco ha infatti un piglio da jam session quasi, con Yorkston che lascia
spazio a tutti, e dimostra quanto sappia comunque fare la differenza anche in
gruppo con brani azzeccati come A Droplet Forms o We Test The Beams. L’autunno
è passato, ma dei dischi autunnali di Yorkston c’è sempre bisogno.
VOTO: 8
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