venerdì 1 ottobre 2021

GRUFF RHYS

 


Gruff Rhys

Seeking New Gods

(Rough Trade, 2021)

File Under: Under the Volcano

Il Monte Paektu (spesso chiamato anche Baitou) è un vulcano che si trova al confine tra Corea del Nord e Cina. È considerato sacro, se non proprio una divinità lui stesso, dalla popolazione coreana, in quanto è una montagna viva che ancora cresce circa 3 cm all’anno. Il lago che si trova oggi nel cratere, chiamato Lago Paradiso, è nato nel 1597 a seguito di una eruzione particolarmente violenta, e tutto fa pensare che anche in futuro la montagna muterà la propria morfologia. No, tranquilli, non ci siamo trasformati nel National Geographic, ma semplicemente vi stiamo parlando del protagonista principale di un concept-album che solo una mente fervida e innamorata di storie da raccontare come Gruff Rhys poteva affrontare. Il leader dei gallesi Super Furry Animals, istituzione del brit-pop degli anni 90, da tempo ormai sembra esprimersi al meglio nelle sue sortite soliste, e già sulle nostre pagine avevamo segnalato il bellissimo Candylion del 2007, probabilmente uno dei più bei omaggi al brit-folk classico degli anni 2000, da mettere in bacheca vicino ai dischi di James Yorkston e degli Espers. Ma Rhys ha dimostrato poi che anche la sua ispirazione ama pescare un po’ ovunque, e così questo Seeking New Gods racconta di tutti i significati esoterici che il vulcano coreano porta con sé, e che tanto lo hanno impressionato, attraverso uno straordinario viaggio che mischia pop psichedelico, folk e tanto altro. Immaginate un incontro in studio di registrazione tra Ben Watt e John Grant per dire, con strani intrecci che già nel primo brano Mausoleum Of My Former Self portano a sentire interventi di elettronica che duellano con una sezione fiati quasi tex-mex (opera del trombettista Gavin Fitzjohn) su un classico mid-tempo folk-rock alla Richard Thompson. Altrove leggerezze soft-pop come Can’t Carry On (con il gran lavoro alle voci di Mirain Haf Roberts e Lisa Jên) o una Holiest Of The Holy Men che sa di Blur al 100% diventano così un nuovo ingrediente da aggiungere all’evidente amore per il cantautorato (non solo britannico) degli anni Settanta, evidenziato da brani come Seeking New Gods o Hiking In Lightning. La band che lo segue è la stessa che usa da qualche anno anche nei tour, con il batterista Kilph Scurlock e il bassista Stephen Black ormai consolidati partners, e il pianista Osian Gwynedd che si divide con lui anche l’incombenza di spargere quelle che chiamano “cosmic synths” un po’ ovunque. Produzione di gruppo quindi, perfezionata tecnicamente dal missaggio di Mario Caldato, il “Mario C” delle produzioni dei Beastie Boys. Il disco, sebbene non sia per nulla leggero nelle liriche e nei significati, anche molto personali, nascosti dietro alla lunga storia del vulcano, si ascolta anche con immediato piacere, e solo nel finale arrivano i brani più lenti e complessi come Everlasting Joy e Distant Snowy Peaks. Probabilmente se Harry Nilsson fosse ancora vivo e lucido, avrebbe potuto fare un disco così.

 

Nicola Gervasini

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