martedì 7 ottobre 2008

RON FRANKLIN - Ron Franklin


03/10/2008
Rootshighway


VOTO: 5


A volte ci esaltiamo per poco, basta magari qualcuno che ci sventola nelle orecchie mille rimandi agli eroi che compongono il nostro background musicale, e ci sentiamo già bene. Ron Franklin per la copertina del suo secondo disco è stato addirittura sfacciato nella sua "captatio benevolentiae" dei nostalgici: in foto con colori vintage ha immortalato la sua posa dylaniana con armonica a tracolla, quella acconciatura che Roger Waters in Nobody Home definì l'"obbligatoria permanente alla Hendrix", e uno sguardo strafottente e sicuro di sé,. Tutto molto accattivante, come il suo misterioso passato di bluesman a Memphis al servizio di Junior Wells, James Cotton e Magic Slim, il suo essere stato addirittura il chitarrista dell'ultima edizione dei Love poco prima che Arthur Lee ci lasciasse nel 2006, e anche quel suo primo album del 2007 (City Lights), che già si era fatto notare per una copertina ancora più retrò, e che era un discreto disco di folk-blues del Tennessee realizzato con l'aiuto di Jim Dickinson. Qualcuno però deve avergli fatto qualche complimento di troppo, se è vero che per il suo secondo capitolo da solista Franklin decide di fare tutto da solo, recapitandoci nel lettore12 canzoni autografe, registrate solo con l'ausilio della sua chitarra elettrica e di una armonica. Il know-how tecnico del produttore Johnny Kimbrough gli ha confezionato dei suoni nudi e crudi, con un voluto effetto di "non-produzione" che dà la sensazione di un rauco demo registrato in strada. Franklin da par suo ha quella stessa voce dylanesca che David Bowie immaginava fatta di "sabbia e colla", ma senza la stessa capacità di evitare l'"effetto lagna" dei suoi vocalizzi. Niente di particolare inoltre viene dalle parti di chitarra, fatte di classici giri folk, tanto blues nascosto nel pentagramma, qualche sferragliata con la slide, ma nulla che non abbiate già sentito prendendo un disco a caso della vostra discografia. Logico quindi che un cd del genere debba vivere sulle canzoni, ma proprio qui, se non sono proprio dolori, di certo si trovano pochi piaceri. Call It A Night viaggia bene nei meandri della notte con i suoi versi, ma l'interpretazione piatta la uccide alquanto, mentre le distorsioni di Dark Night, Cold Ground nascondo un buon blues selvaggio che bisognerebbe dare in mano a qualche buona southern-rock band. Oppure gli si può dare atto che The Elocutionist merita qualche ascolto in più, o che il lungo testo di Dear, Marianne necessitava un supporto strumentale ben più brioso di questi cinque faticosissimi minuti. Ci si può anche divertire per le ironiche trovate di 25 Cents For The Morphine, 15 Cents For The Beer, ma non si può soprassedere quando un disco per sola chitarra e voce presenta alcuni brani insignificanti come That's Just The Love I Have 4U, se non proprio inesorabilmente noiosi (Visions Of Parfume). E per un disco che fa della derivazione un credo, provocare anche sbadigli è forse il risultato più avvilente.(Nicola Gervasini)

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