15/10/2008
Rootshighway
voto: 6
La copertina è di quelle che mettono subito di buon umore, con quel giallo imperante e quello sguardo beffardo della padrona di casa che fanno già presagire l'aria di lieve giocosità di questo Chameleon. D'altra parte Victoria Vox fa parte di quel mondo americano molto casereccio, fatto di pizzi e merletti e torte lasciate a raffreddare sul davanzale della finestra, e lì in mezzo lei, ad intrattenere le feste di contea con il suo insostituibile ukulele. Attiva già dal 1999 con un paio di dischi da pura folksinger, la Vox è diventata un caso della scena indipendente americana nel 2006 con il disco Victoria Vox and Her Jumping Flea, dove la bionda ragazza di Baltimore scopriva il suono dell'ukulele e lo adattava ad una serie di canzoni molto jazz-oriented, con un risultato intrigante che contribuiva al ritorno in auge dello strambo strumento hawaiano.Chameleon è probabilmente il suo tentativo di uscire dal marketing del passaparola con un disco furbo e sornione, volutamente diviso a metà tra le ukulele-songs e uno stile molto più mainstream, che ricorda tantissimo la Jewel più prevedibile o la Shawn Colvin più appagata. La partenza del disco è comunque in linea con la copertina, grazie alla divertentissima Peeping Tomette (si parla di guardoni e liceali onanisti…) che aggiorna il ritmo dell'ukulele con un arrangiamento elettrico molto brioso, e con le successive Tucson (forse il brano più di spessore della raccolta) e Jessica, che azzarda addirittura una batteria piuttosto danzereccia. Le ukulele-songs sono tutte più o meno godibili, anche se le possibilità dello strumento portano inevitabilmente ad una certa ripetitività ritmica: la dolce The Bird-Song, la jazzy What's Wrong? (siamo dalle parti di un Lyle Lovett in gita alle Hawaii), la riuscita C'est Noyè con la sua poetica marinaresca in francese, o la scanzonata Bittercup, contribuiscono tutte a rendere il disco un toccasana per le nostre giornate grigie. I guai arrivano quando la Vox imbraccia la chitarra acustica e scende sul campo del pop-folk femminile più classico, perché Alone, From The Outside e A Little Bit Of Love risultano essere canzonette davvero leggerine e senza troppa personalità, se non quella di avere ritornelli facili che potrebbero anche non sfigurare in qualche radio. Al nostro occhio d'altra parte non sfugge che il produttore del disco sia Mike Tarantino, ingegnere del suono di James Blunt, e la referenza non è certo delle migliori. Della famiglia di quelle che la stessa Vox definisce "canzoni con suono contemporaneo" è forse Damn Venus quella dove ci si avvicina ad un risultato più appagante (grazie al bel lavoro delle chitarre elettriche), o in qualche modo anche la conclusiva Falling Star, ma nel complesso il tentativo di aggiornare il proprio impatto sonoro si può ritenere pressochè fallito. Come già suggerisce il titolo, Chameleon cerca di adattarsi alle esigenze del mercato discografico odierno, ma il colore del ramo su cui sceglie di posarsi non è certo dei migliori. (Nicola Gervasini)
martedì 28 ottobre 2008
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