lunedì 25 maggio 2015

DECEMBERISTS

Colin Meloy nelle foto di presentazione di What a Terrible World, What a Beautiful World (Rough Trade,  titolo rubato da un discorso di Barack Obama), ha la faccia sorridente e sorniona di chi in qualche modo ce l’ha fatta. Con numeri rapportati ai nostri tempi (quindi bassi), la storia dei suoi Decemberists ricorda davvero quella dei R.E.M., band passata al successo planetario dopo dieci anni di gavetta underground. Anche la loro musica era finita per sembrare quella dei R.E.M., forse anche fin troppo nel precedente The King Is Dead del 2011, album che li ha consacrati a gruppo simbolo dell’indie-rock di questi anni 2000. Ma i Decemberists non erano partiti dal jingle-jangle rock di Stipe e soci: prima c’erano stati il folk stralunato e cabarettistico di album come Her Majesty e Picaresque, poi il flirt con il prog di The Crane Wife e il rock anni 70 del concept The Hazards Of Love. Ma il nuovo album li conferma definitivamente: ora i Decemberists piacciono a tutti, avanguardisti e tradizionalisti, classic-rocker e giovani alternativi. E la vera vittoria è che per mettere d’accordo tutti, Meloy ha realizzato il più classico dei Greatest Hits stilistici da band in piena maturità. Qui ci sono tutte le loro anime, quella stravagante (come terminare la scaletta con un brano intitolato A Beginning Song), quella istrionica (l’esperimento sixty-pop di Philomena), quella tradizionalista (Make You Better è puro mainstream-rock) e, ora, dopo quindici anni di carriera, anche quella più furba, fin dall’idea di produrre un disco di brani easy & catchy con fiati da canticchiare in coro (Cavalry Captain) e archi sinuosi (Lake Song). Manca quindi il loro lato più ostico e cervellotico, ma Meloy appare un uomo diverso oggi, meno tormentato, più risolto, forse meno artista e più rockstar. Uno stato di grazia produttivo quanto pericoloso il suo, che per qualcuno è significato l’appiattimento e l’appagamento, per altri l’inizio di una nuova intrigante vita artistica. Per loro chissà: di certo a rifare un album così perfettamente orecchiabile al primo colpo come questo si rischierà la perdita del colpo di scena, e quindi la noia. C’è dunque solo da sperare che Colin si complichi di nuovo la vita.

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