KEVIN LEE FLORENCE
GIVEN
Fluff &
Gravy
***
La prima domanda che sorge ascoltando Given, disco di esordio del
californiano Kevin Lee Florence, è dove possa stare la novità. La risposta
che si trova, arrivando alla fine di questi nove brani, è che di novità non se
ne vede neanche l’ombra ( o sarebbe più corretto dire che non se ne sente una
nota…), ma di belle canzoni, quelle fortunatamente sì. E così abbiamo già
inquadrato il personaggio, un po’ cantautore folk indie-oriented alla Bon Iver,
con tanto di barba e cappellino nerd d’ordinanza, un po’ hobo dal tono
lamentoso alla Joe Purdy, in ogni caso un nuovo nome da aggiungere alla folta
schiera di artisti intimisti e abituati a viaggiare sul soffice. Florence
d’altronde è uno che ama dare un colpo al cerchio e uno alla botte: da un lato
inizia il disco in tono sofferto, come si comanda ad un vero indie-folker, con
due brani come Alone & Everything
e Shining Shining, poi però infila
una baldanzosa cover di Peace Like A River
di Paul Simon che strizza l’occhio al modo di M. Ward di realizzare brani
altrui, ma che sciorina una band da classic-rock che vede impegnato nientemeno
che l’organo di Garth Hudson della
Band. E’ il segnale che a quel punto il disco prenderà una nuova direzione,
entrando in zona Ray Lamontagne con Could
Today Be The Day e invadendo il campo della ballata folk alla Iron &
Wine con All I’d Ask. Registrato a
Los Angeles negli stessi studi usati da Bonnie Prince Billy e Father John
Misty, in un certo senso l’album è un campionario di tutte le idee sentite in
questi anni nel mondo del folk indipendente e non solo (Ryan Adams farebbe sua
una Cold & Still), con omaggi
anche evidenti come la cover di Ohio,
un brano del primissimo Damien Jurado (era
su Rehearsals For Departure del
1999), forse il nome a cui è in fin dei conti più accostabile. Finale più
corale con Kindness First (qui
l’omaggio è forse ai Fleet Foxes) e tutti a casa dopo durata breve da disco di
altri tempi, ben suonato da una band di professionisti in cui vanno notati le
chitarre di Danny Donnelly, il basso di John Button (della band di Sheryl Crow)
e la batteria di James McAlister (Sufjan Stevens, Bill Frisell). Resta il
dubbio su quale possa essere il futuro di un nuovo artista così poco personale,
seppur davvero bravo nel ruolo di fedele seguace di una traduzione. Il presente
intanto è Given, disco che comunque
può trovare di diritto uno spazio nella vostra programmazione autunnale.
Nicola Gervasini
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