BARZIN
TO LIVE ALONE IN THAT LONG
SUMMER
Ghost Record
***1/2
Ci ha messo ben cinque
anni Barzin a dare un seguito all’acclamato
Notes to an Absent Lover, ma il ragazzo fin
dagli esordi non è mai stato uno che ha fretta (quattro album in dodici anni
non sono un gran bottino). In più i suoi
dischi sono sempre brevi ed essenziali, e non sfugge alla regola nemmeno questo
atteso To Live Alone in That Long
Summer, titolo quanto mai esplicativo dello stato d’animo che ha
dato vita a questi nove nuovi piccoli bozzetti. Il primo impatto in verità
potrebbe anche essere deludente: cinque anni di tempo per trentadue minuti di
musica, che oltretutto non aggiungono nulla di nuovo a quanto già detto con i
due album precedenti, non fanno certo gridare al miracolo, ma il canadese Barzin
pretende dal proprio pubblico la stessa non-fretta che ci mette lui a confezionare
dischi. Per cui prendetevi tempo, trovate il giusto momento, lasciate che
queste canzoni vi entrino pian piano nelle vene. Perché fin dal singolo All The While la musica di Barzin è una
bomba a scoppio ritardato, perché gli elementi che la riempiono (ad esempio, in
questo caso, il violino) appaiono timidamente, e non sempre al primo ascolto.
Il mood triste e autunnale della sua
musica resta il marchio di fabbrica, e il tema della luce (o della sua assenza)
come metafora dell’umore umano affiora prepotente in tanti brani (Without Your Light, In The Dark You Will
Love This Place). Nonostante la produzione sia stata lunga e (pare) anche
costosa, e nonostante anche i tanti ospiti del mondo indie coinvolti nel
progetto (Tamara Lindeman dei Weather Station, Daniela Gesundhet degli Snowblind e Sandro Perri e
Tony Dekker dei Great Lake Swimmers), il disco conserva il taglio lo-fi delle sue produzioni precedenti,
anche se il maggiore lavoro sui suoni appare subito evidente. Ma al di là delle
considerazioni sulla produzione, dietro c’è un autore che resta uno dei più
interessanti della scena, capace di grandi prove di scrittura come Stealing Beauty e bravo a dosare momenti
drammatici (Fake It Til You Make It
con il suo bel piano) e romantici (It’s
Hard To Love Blindly). Non ci sono punti deboli, quanto semmai si potrebbe
lamentare una certa ripetitività di soluzioni, normalmente basate su un
ipnotico arpeggio che fa da base ad una lenta melodia e ad uno strumento sempre
diverso a fare da contraltare (ad esempio uno xilofono in We are Made for All of This). Sono tutte canzoni che raccontano le sensazioni
di un momento (Lazy Summer, In The
Morning) e non di storie di uomini, per cui necessitano un ascolto
insolito. La certezza è che To Live Alone in That Long Summer sia un
disco che avrete voglia di riascoltare anche fra molti anni, perché non
smetterai mai di dire ogni volta qualcosa in più che non avevate colto la volta
precedente. Come solo i bei dischi sanno fare.
Nicola Gervasini
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