sabato 31 gennaio 2015

Little Angel & The Bonecrashers

Little Angel & The Bonecrashers
J.A.B.
(Little Angels & The Bonecrashers, 2014)
File Under: “It’s fucking country western”
C’è un motivo preciso per considerare i varesotti Little Angel & The Bonecrashers un gruppo decisamente controcorrente nel ribollente panorama roots italiano. Nella scelta se prediligere l’aspetto autoriale del fare rock delle radici (i Lowlands , ma anche i Mandolin Brothers più recenti, vanno in quella direzione) o lasciarsi andare ad un plateale yankee re-make a misura di pubblico, loro scelgono una via intermedia. Bando alle cover di facile richiamo (pegno di riconoscenza già pagato nel loro primo album), bando al facile jumpin’-country da sagra per finti-cowboy padani, ma anche bando a personali variazioni sul tema da un punto di vista stilistico. Cristiano Carniel è un cultore del rock americano severo e rigoroso, e se rispetto all’ormai lontano esordio del lontano 2006 ha avuto il tempo di crescere come autore e assemblare dieci brani che si stampano nella mente fin dal primo ascolto, è anche regista attento a non uscire mai dal seminato della tradizione. Gli Uncle Tupelo restano il loro faro (li si sente parecchio quando rallentano il ritmo in Birdies o nell’ottima ballata Poor John), il tocco alla Drive-by Truckers la massima concessione alla modernità (viaggiano in quei paraggi l’ironica Harry’s Wife e la conclusione a elettriche spianate di Troubles Everyday), ma, appena possono, si rifugiano volentieri nella rassicurante prevedibilità di giri country alla Johnny Cash (Johnny Lee Blues o anche Cowboy’s Prayer, impreziosita dalla fisarmonica Gianmarco Banzi) con una inflessibilità espressiva che potrebbe sembrare in contraddizione con il modo decisamente ironico e scanzonato che hanno nel presentarsi fin dalla copertina. J.A.B. è un disco maturo anche nel modo di raccontare le storie , sia quella della prostituta di 1000 Miles Amelia (brano che esalta la voce di Stefano Tosi e testo che ricorda un po’ la Veronica di Jannacci), sia il “family drama” di My Last Ride (testo del chitarrista Gianluca Lavazza, arrangiamento pensato in collaborazione con Davide Buffoli) o lo sfogo esistenziale di Regrets (Sweet Revenge Song). Sono solo un’altra band dalla provincia (come cantano in Just Another Band), ma J.A.B. li elegge a rari paladini nostrani di una disciplinata rilettura della tradizione americana.

Nicola Gervasini

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