L’aspetto triste e dimesso non lo
dimostra, ma Adam Duritz è un personaggio cardine del rock statunitense. Sospesi
tra mainstream radiofonico e tradizione roots, i suoi Counting Crows avevano in
qualche modo anticipato il lato più lamentoso del lo-fi style della scena indipendente degli anni duemila,
trasformandosi nel tempo in una sua personale creatura, che lui risveglia solo
dopo lunghi letarghi e crisi depressive. Somewhere
Under Wonderland (Capitol) è solo il sesto album di inediti in più di vent’anni
di carriera, ed è stato anticipato da un bellissimo film-video a commento di Palisides Park, forse la composizione
più springsteeniana della sua carriera. Il focus del disco è infatti deviato su
un rock semplice e chitarristico, con testi che raccontano di un cinquantenne
bisognoso di fare il punto su un’esistenza tribolata da malattie psichiatriche,
relazioni complicate (Jennifer Aniston, Courteney Cox e Nicole Kidman quelle
più note), e una promettente ma mal sfruttata carriera. E’ il loro disco più corto
e nervoso, quasi una piccola graffiata isterica da parte di un artista che fa
di tutto per farsi dimenticare pur soffrendone. Anche se la mano non è più
quella felicissima dei primi quattro album, tra molto materiale ordinario
troverete anche brani come Dislocation
o John Appleseed’s Lament, quanto
basta per ricordarsi di loro anche quando Duritz tornerà nel suo antro oscuro.
Nicola Gervasini
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