Pare che nel New Jersey il 25%
della popolazione sia di origine italiana, per cui il fatto che la regione
abbia fornito tante rockstar italo-americane (da Bruce Springsteen a Jon Bon
Jovi) è solo una questione di calcolo delle probabilità. Nel caso dei Four
Seasons fu però anche una mera questione di marketing: nei primi anni
sessanta l’Italia e la sua musica erano di moda negli Stati Uniti (e lo
dimostrò bene Dean Martin nel 1962 con il celebre Italian Love Songs), per cui l’etichetta Vee-Jay fece il colpo
quando decise di lanciarli come il primo gruppo italo-americano di doo-wop. Furono
i primi artisti bianchi del loro catalogo. Lo stesso Frankie Valli aveva
esordito come Frankie Valley prima di scegliersi un nome d’arte più coerente
alle sue origini (il suo vero nome è Francesco Castelluccio), e così anche i
cognomi di Tommy DeVito, Nick Massi e Bob Gaudio si adattarono bene
all’immagine di novelli latin-lovers della canzone pop. Dal 1962, con l’enorme successo
di Sherry, fino al 1967, i Four
Seasons spedirono più di venti singoli epocali nei piani alti della Billboard
americana (vanno ricordate perlomeno Stay,
Rag Doll e Walk Like a Man), e in
qualche modo riuscirono più di altri loro coetanei a resistere al contraccolpo
della British Invasion lanciata dai Beatles.
Se non suonasse troppo riduttivo (visto che il loro gusto melodico ha fatto
scuola anche nelle classi alte della musica), potremmo anche definirli dei
precursori delle moderne boy-band per
la sapiente costruzione dell’immagine e la conseguente isteria delle fans.
Ebbero anche un felice ritorno di fiamma nel 1975 con la famosa December 1963 (Oh What A Night), ma fu
l’ultimo momento di gloria. Frankie
Valli, dopo aver riassaporato le alte classifiche con Grease, continuerà una carriera da entertainer per comitive di
pensionati in gita a Las Vegas, ma la sua voce non ha mai dimenticato di essere
nata nella polverosa patria del blue-collar.
Nicola Gervasini
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