sabato 10 gennaio 2015

BIG WRECK

BIG WRECK
GHOSTS
Anthem/Warner Bros
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Riassunto delle puntate precedenti: avevamo incontrato I Big Wreck non più tardi di due anni fa con il non disprezzabile disco-reunion Albatross (ma, visto l’ingente rimpasto della formazione, sarebbe più corretto parlare di rifondazione). Ora la creatura del canadese Ian Thornley prova a bissare con Ghosts, un monumentale tour de force di 69 minuti decisamente d’altri tempi. I Big Wreck, che qualcuno ricorderà per il brillante esordio del 1997 In Loving Memory Of... , sono un combo che un po’ tardivamente aveva assemblato l’esperienza grunge dei Soundgarden con certe svisate psichedeliche dello stoner-rock alla Kyuss e un appeal radiofonico alla Foo Fighters. 17 anni dopo la ricetta non è cambiata, anzi, semmai amplia il proprio raggio d’azione nostalgico a nuovi elementi, comunque sempre riconducibili agli anni 90. Vista la portata mastodontica di questo nuovo progetto, Thornley ha giocato sulla varietà, per cui se il riffone heavy metal dell’iniziale A Placed Called Home potrebbe scoraggiare gli animi più gentili, abbiate pazienza di aspettare I Digress, che è uno di quei brani che Chris Cornell dovrebbe ricordarsi di saper fare, ma ancor più la sorprendete title-track, chiaro omaggio alla Dave Matthews Band (imitato anche nella voce) e alla loro varietà di ritmi. Peccato solo che nel menu di tanta varietà capitano anche episodi furbi e poppettari come My Life (forse loro pensavano di fare un numero di cabaret alla Faith No More, ma il risultato è più simile ai Maroon 5), subito perdonata dal rauco blues lisergico alla Robert Plant di Hey Mama (perlomeno le imitazioni le sanno fare bene). Il gran limite del disco è tutto qui: ha la strafottenza della lunga durata, ma propone solo riedizioni di mondi musicali già sentiti e ormai abusati. E se la prima parte regge bene, nell’ipotetitico lato B il livello cala vistosamente, e si fa fatica ad arrivare alla fine. Inutili ad esempio le pesanti Diamonds e Friends, più aperta e melodica invece Still Here, sospesa tra rock e pop, ma anche qui la durata di quasi otto minuti non aiuta. Non male la ballata Break, ma su questo terreno abbiamo già sentito di meglio. Il problema di Ghosts è l’aver sprecato alcune buone idee per un progetto troppo più grande di loro, e nell’era in cui gli album si sono accorciati per le esigenze dei nuovi modi di fruizione, questo rappresenta un peccato non più perdonabile.

Nicola Gervasini


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