BIG WRECK
GHOSTS
Anthem/Warner
Bros
**
Riassunto delle puntate
precedenti: avevamo incontrato I Big
Wreck non più tardi di due anni fa con il non disprezzabile disco-reunion Albatross
(ma, visto l’ingente rimpasto della formazione, sarebbe più corretto parlare di
rifondazione). Ora la creatura del canadese Ian Thornley prova a bissare con Ghosts, un monumentale
tour de force di 69 minuti decisamente d’altri tempi. I Big Wreck, che qualcuno
ricorderà per il brillante esordio del 1997 In Loving Memory Of... , sono un combo che un po’ tardivamente aveva assemblato l’esperienza grunge
dei Soundgarden con certe svisate psichedeliche dello stoner-rock alla Kyuss e
un appeal radiofonico alla Foo Fighters. 17 anni dopo la ricetta non è
cambiata, anzi, semmai amplia il proprio raggio d’azione nostalgico a nuovi
elementi, comunque sempre riconducibili agli anni 90. Vista la portata
mastodontica di questo nuovo progetto, Thornley ha giocato sulla varietà, per
cui se il riffone heavy metal dell’iniziale A
Placed Called Home potrebbe scoraggiare gli animi più gentili, abbiate
pazienza di aspettare I Digress, che
è uno di quei brani che Chris Cornell dovrebbe ricordarsi di saper fare, ma
ancor più la sorprendete title-track, chiaro omaggio alla Dave Matthews Band
(imitato anche nella voce) e alla loro varietà di ritmi. Peccato solo che nel
menu di tanta varietà capitano anche episodi furbi e poppettari come My Life (forse loro pensavano di fare un
numero di cabaret alla Faith No More, ma il risultato è più simile ai Maroon
5), subito perdonata dal rauco blues lisergico alla Robert Plant di Hey Mama (perlomeno le imitazioni le
sanno fare bene). Il gran limite del disco è tutto qui: ha la strafottenza
della lunga durata, ma propone solo riedizioni di mondi musicali già sentiti e
ormai abusati. E se la prima parte regge bene, nell’ipotetitico lato B il
livello cala vistosamente, e si fa fatica ad arrivare alla fine. Inutili ad
esempio le pesanti Diamonds e Friends, più aperta e melodica invece Still Here, sospesa tra rock e pop, ma
anche qui la durata di quasi otto minuti non aiuta. Non male la ballata Break, ma su questo terreno abbiamo già
sentito di meglio. Il problema di Ghosts è
l’aver sprecato alcune buone idee per un progetto troppo più grande di loro, e
nell’era in cui gli album si sono accorciati per le esigenze dei nuovi modi di
fruizione, questo rappresenta un peccato non più perdonabile.
Nicola Gervasini
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