The Lumineers - Automatic
Dualtone, 2025
Per molti i Lumineers resteranno solo degli one-hit-wonder,
cioè quei gruppi che verranno ricordati dal grand pubblico per un'unica
canzone, ed è un destino decisamente curioso per una band del genere. Più che altro
perché negli anni 2000 di band a due elementi (Wesley Schultz e Jeremiah
Fraites ) dediti ad un americana-folk riletto con piglio indie, ne sono piene
le cronache e le pagine delle riviste dedicate, ma un successo planetario come
Ho Hey del 2012 pochi possono vantarlo. Il brano era una simpatica folk-song
forte di un coretto impossibile da non memorizzare al primo colpo, e qui poi partono
sempre quelle diatribe critiche sugli effettivi meriti di un tale successo e la
relativa polemica “perché loro si, e altri no”.
La storia del rock è piena di paradossali ingiustizie, e nel
novero conto anche quel riflusso di apprezzamenti che spesso chi azzecca il
brano popolare deve subire nel proseguo della carriera. Insomma, i Lumineers
ora li conoscono tutti, ma pochi poi sono stati disposti a prenderli sul serio
anche nei loro dischi successivi. Non che il duo abbia sfornato poi
indiscutibili capolavori, ma la sensazione è che la loro opera sia stata
accolta con aria di sufficienza.
Per questo spero che almeno questo Automatic, quinto
capitolo della loro saga, venga perlomeno preso per quello che è, un buonissimo
disco di folk che sa essere a volte leggero, a volte impegnato, ma sicuramente
non vacuo. Schultz e Fraites proseguono il loro discorso noncuranti degli
antichi clamori, scrivono da soli 11 canzoni che suonano fresche e riuscite fin
dal primo ascolto, e racchiudono tutto in 32 minuti che impediscono sbadigli e
vanno dritti al punto. “Musica senza fronzoli“ si scriveva spesso un tempo
quando le super produzioni spesso rappresentavano un problema, mentre qui i due
fanno tutto da soli, con qualche intervento esterno sporadico (la viola di Megan
Gould ad esempio), e sotto la guida del team produttivo formato da David Baron
e l’ex Felice Brothers Simone Felice.
Il titolo del primo brano d’altronde la dice lunga, Same Old
Song, e i due infatti sanno benissimo di non avere eventi sensazionali da
offrire, ma rifugi sicuri di belle canzoni come la title-track o Plasticine,
con toni soffici persino quando si cerca il testo tagliente (Asshole), e generalmente
un mood che me li fa quasi avvicinare alla West Coast più suadente di Loggins
& Messina o Seals and Crofts, nomi che certamente i due avranno imparato ad
apprezzare. Automatic è un disco diretto, che solo nella finale So Long (unico
brano sopra i 4 minuti) si prende anche il tempo per riflettere. Il folk dei
Lumineers è lo stesso dei loro esordi, la notizia è che ora hanno smesso di
cercare una nuova hit e semplicemente fanno quello che sanno ben fare.
VOTO 7
Nicola Gervasini