domenica 18 febbraio 2024

BLACK PUMAS

 

The Black Pumas

Chronicles of a Diamond

( ATO Records, 2023)

File Under: Black Pop

Non è facile dire quale sia stato l’anno, o il disco, o l’artista, che ha chiuso il ciclo evolutivo di quella che per mera comodità continuiamo a chiamare “Black Music”, confidando sul fatto che con questa definizione non si corre il rischio di sospetti di razzismo e poca inclusività. Ma la - al momento - breve  epopea dei  Black Pumas, duo di Austin formato da Eric Burton e Adrian Quesada (un afroamericano e un ispanico che suonano nella capitale della roots music americana, cosa fare di più per confondere le vecchie idee?), sta in qualche modo dimostrando che il genere è arrivato ad un punto di sintesi ormai completo. Loro già lo fecero capire nel 2019 con il loro acclamatissimo esordio omonimo, e cioè che ormai non ha più troppo senso fare divisioni tra il vecchio Soul ravvivato in questi anni 2000 dal foltissimo movimento New Soul, la tradizione delle band funky degli anni 70, e il totale cambio di paradigma portato negli anni 80 da Thriller di Jackson e ovviamente Prince, l’hip hop e l’ R&B degli anni 90, e i grandi nomi dei 2000 che già avevano operato un ulteriore passo in avanti nell’unire il tutto (penso a D’Angelo, Cody Chesnutt o tanti altri). I Black Pumas arrivano ultimi, eppure suonano freschi, e, buona notizia, continuano ad esserlo anche in questo secondo album, Chronicles of a Diamond, che si è fatto attendere più di quattro anni, in cui i due hanno ammesso di essersi sentiti parecchio sotto pressione. La scelta, secondo me saggia (vedremo poi se vincente o no), è stata quella di aver deciso di non avere nulla da dimostrare a nessuno, e così questo disco sposta il focus sulle canzoni e sulle melodie (alquanto cantabili e “radiofoniche”, per usare un vecchio termine che non saprei sinceramente attualizzare in epoca di streaming), mentre non cerca di strabiliare unendo stili diversi senza criterio. La giornalista Emma Harrison su Clash lo ha definito “una paradisiaca tavolozza interculturale di soul stellato, rock psichedelico, jazz funk, e pop sinfonico" e francamente potremmo fermarci qui, soprattutto perché l’ultima delle definizioni è quella su cui più mi soffermerei. Perché brani come More Than a Love Song o Mrs Postman dimostrano quanto lavoro ha fatto Burton nel costruire melodie sopra le ritmiche di Quesada riuscendo a unire le lezioni “black” di Smokey Robinson e quella “white” di Harry Nilsson in un unico risultato. E’ forse meno ballabile del suo predecessore, in cui l’amore per il funky di Quesada aveva più spazio, ma forse ancora più pregno di influenze, dal gospel di Angel alla quasi filastrocca pop di Ice Cream (Pay Phone). Nel finale arriva poi Rock and Roll a trovare un accordo tra generi che valga per tutti i gusti sotto un titolo così loureediano. Eppure, nonostante la bontà di molti brani brani, non sta piacendo a tutti questo Chronicles of a Diamond, forse perchè ci mette meno istinto e sudore e più ragione e cultura musicale, o forse perché il tentativo dei Black Pumas di farci anche solo riflettere su cosa ancora si può fare di più in questa musica necessita ancora di tempo. Risentiamolo fra qualche anno magari, potremmo scoprire che avevano capito qualcosa in anticipo, oppure davvero sì, lo ricorderemo solo come una svolta più leggera (un tempo dicevamo “easy” pure sui giornali italiani, ricordate?) del primo album.

Nicola Gervasini

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