The
Black Pumas
Chronicles
of a Diamond
( ATO Records,
2023)
File Under: Black Pop
Non è facile dire quale sia stato
l’anno, o il disco, o l’artista, che ha chiuso il ciclo evolutivo di quella che
per mera comodità continuiamo a chiamare “Black Music”, confidando sul fatto
che con questa definizione non si corre il rischio di sospetti di razzismo e
poca inclusività. Ma la - al momento - breve
epopea dei Black Pumas,
duo di Austin formato da Eric Burton e Adrian Quesada (un afroamericano e un
ispanico che suonano nella capitale della roots music americana, cosa fare di
più per confondere le vecchie idee?), sta in qualche modo dimostrando che il
genere è arrivato ad un punto di sintesi ormai completo. Loro già lo fecero
capire nel 2019 con il loro acclamatissimo esordio omonimo, e cioè che ormai
non ha più troppo senso fare divisioni tra il vecchio Soul ravvivato in questi anni
2000 dal foltissimo movimento New Soul, la tradizione delle band funky degli
anni 70, e il totale cambio di paradigma portato negli anni 80 da Thriller di
Jackson e ovviamente Prince, l’hip hop e l’ R&B degli anni 90, e i grandi
nomi dei 2000 che già avevano operato un ulteriore passo in avanti nell’unire
il tutto (penso a D’Angelo, Cody Chesnutt o tanti altri). I Black Pumas
arrivano ultimi, eppure suonano freschi, e, buona notizia, continuano ad
esserlo anche in questo secondo album, Chronicles of a Diamond, che si è
fatto attendere più di quattro anni, in cui i due hanno ammesso di essersi
sentiti parecchio sotto pressione. La scelta, secondo me saggia (vedremo poi se
vincente o no), è stata quella di aver deciso di non avere nulla da dimostrare
a nessuno, e così questo disco sposta il focus sulle canzoni e sulle melodie
(alquanto cantabili e “radiofoniche”, per usare un vecchio termine che non
saprei sinceramente attualizzare in epoca di streaming), mentre non cerca di
strabiliare unendo stili diversi senza criterio. La giornalista Emma Harrison
su Clash lo ha definito “una paradisiaca tavolozza interculturale di soul
stellato, rock psichedelico, jazz funk, e pop sinfonico" e francamente
potremmo fermarci qui, soprattutto perché l’ultima delle definizioni è quella su
cui più mi soffermerei. Perché brani come More Than a Love Song o Mrs
Postman dimostrano quanto lavoro ha fatto Burton nel costruire melodie
sopra le ritmiche di Quesada riuscendo a unire le lezioni “black” di Smokey
Robinson e quella “white” di Harry Nilsson in un unico risultato. E’ forse meno
ballabile del suo predecessore, in cui l’amore per il funky di Quesada aveva
più spazio, ma forse ancora più pregno di influenze, dal gospel di Angel alla
quasi filastrocca pop di Ice
Cream (Pay Phone). Nel finale arriva poi Rock and Roll a trovare
un accordo tra generi che valga per tutti i gusti sotto un titolo così
loureediano. Eppure, nonostante la bontà di molti brani brani, non sta piacendo
a tutti questo Chronicles of a Diamond, forse perchè ci mette meno istinto e
sudore e più ragione e cultura musicale, o forse perché il tentativo dei Black
Pumas di farci anche solo riflettere su cosa ancora si può fare di più in
questa musica necessita ancora di tempo. Risentiamolo fra qualche anno magari,
potremmo scoprire che avevano capito qualcosa in anticipo, oppure davvero sì,
lo ricorderemo solo come una svolta più leggera (un tempo dicevamo “easy” pure
sui giornali italiani, ricordate?) del primo album.
Nicola Gervasini
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