Ghost Woman - Hindsight is 50/50
2023, Full Time Hobby
Il culto sotterraneo per i Ghost Woman è abbastanza atipico per i nostri tempi, in cui tutto viene strillato e bruciato in poco tempo, perché di loro si parla ancora molto poco rispetto al seguito che in patria sono già riusciti a costruirsi (ma anche a Londra, dove infatti hanno trovato casa come etichetta discografica). Se vi fate un giro nel web è persin difficile trovare informazioni su questo combo canadese che fa capo all’artista Evan Uschenko, e anche il loro sito ufficiale pubblica esclusivamente le date dell’imminente tour, ma nessuna biografia o discografia utile, nonostante Hindsight is 50/50 sia già il loro quarto album.
Partiti nel 2016, la band ha avuto qualche sotterraneo riconoscimento con gli album Anne, If del 2000 e l’omonimo del 2022, cambiando formazioni e svelando, con questo nuovo sforzo, quanto poi davvero il progetto sia completamente in mano a Uschenko. Lui, infatti, qui fa tutto tranne le parti di batteria, affidate alla percussionista Ille Van Dessel, strumentista evidentemente cresciuta alla scuola Meg White, mentre ad esempio l’album del 2000 era stato registrato da una formazione di 5 elementi. Il risultato è che lo psych-rock figlio dei sixties o dei Dream Syndicate di qualche anno fa ha sempre più lasciato spazio a ritmi più lenti e rarefatti.
Hindsight is 50/50 gioca subito l’unica carta rauca in apertura con Bonehead, un fuzz-blues sospeso tra i Jon Spencer Blues Explosion o i White Stripes più garage, ma è un caso unico, perché poi a partire da Alright Alright entriamo in un lungo percorso ipnotico e lisergico fatto di chitarre acide e atmosfere dark. Con ingredienti che potete anche immaginare, come le dosi massicce di Velvet Underground sparse in Yoko (no, qui Lennon non c’entra, ma avrebbe comunque apprezzato il brano), il finale maestosamente shoegaze di Joan, l’assalto di suoni effettati dello strumentale Wormfeast o l’alternative-rock da primi anni 90 della finale Buick (potei tirare in ballo gli Spaceman 3 ma poi ci perdiamo in discussioni su chi trova un riferimento ancora più preciso). Insomma, siamo davanti ad un disco che mette a proprio agio chiunque abbia sondato i bassifondi dell’industria discografia degli ultimi decenni, il che ci dice quanto Uschenko sia prima di tutto un fan e appassionato, ma forse meno che nei dischi precedenti si ha la sensazione che abbia trovato una sua via stilistica definita.
Per questo non troverete nulla che non vada in brani di forte presa come Highly Unlikely o Ottessa (probabilmente anche il Billy Corgan dei tempi d’oro degli Smashing Pumpkins li avrebbe apprezzati), se non che manca forse quello sforzo in più per emergere dal sottobosco, per rendersi più che riconoscibile, e soprattutto manca anche quella varietà di stili e ritmi che rendeva i dischi precedenti più stuzzicanti. L’album però piacerà forse a chi ancora cerca eroicamente di rimanere fedele al lato più oscuro e ostico di questo vecchio rock, e che sicuramente immagina di poter trovare nella camera di Uschenko gli stessi vinili che abbiamo consumato per anni sognando che questa musica potesse diventare un giorno il nuovo mainstream.
Nicola Gervasini
VOTO: 6,5
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