BC Camplight - The
Last Rotation of Earth
Bella Union, 2023
Il quarantaquattrenne Brian
Christinzio, in arte BC Camplight, è ancora oggi un artista abbastanza
di nicchia nonostante sia attivo da vent’anni nel mondo della musica. Con il
suo moniker ha pubblicato sei album dal 2005 ad oggi, compreso il nuovo The
Last Rotation of Earth, all’inizio riscontrando anche favori della critica
specializzata, che lo hanno portato ad importanti collaborazioni (nella sua
veste di session-man e musicista da tour lo si è visto a seguito dei War On
Drugs e di Sharon Van Etten ad esempio), prima però di cadere nei primi anni
dieci in una profonda depressione, con conseguente abuso di farmaci e droghe,
che ne hanno condizionato l’attività per qualche anno. In quei tempi si era
anche trasferito dal New Jersey nella più viva Manchester in Inghilterra, dove
ha ritrovato linfa vitale per una rinascita. Dal 2015 la sua carriera è ripresa,
anche se con più fatica a farsi notare, e nonostante le tragicomiche
vicissitudini legali che lo hanno visto prima espulso dall’Inghliterra per
scadenza del proprio permesso di soggiorno (con conseguente tour annullato), e
poi finalmente il ritorno a Manchester con piena residenza grazie ad un
passaporto italiano appartenuto ai suoi avi. Se raccontiamo la sua storia è
perché è importante sapere da dove arrivano le canzoni di The Last Rotation of
Earth, che sono una sorta di grande mix di tutta la musica britannica degli ultimi
anni, ma riletta con un gusto americano che Camplight non ha perso nonostante
non abbia più intenzione di tornare negli Stati Uniti.
Da tempo uno dei nomi di punta della
Bella Union, Camplight sembra accodarsi con questa ultima fatica allo stile che
già abbiamo sentito anche dagli ultimi Gaz Coombes o Tim Burgess, giocando
molto sul mischiare parecchi ingredienti, con risultati per forza di cose
alterni. Sicuramente vi consigliamo di ascoltare episodi come il lento soul
funereo di It Never Rains in Manchester, che proprio al suo faticoso amore con
la città che oggi lo ospita dedica i versi, o al curioso “pastiche” di generi
di Fear Life in a Dozen Years, brano ipnotico con un refrain melodico che
piacerebbe a Steven Wilson, come anche lui metterebbe gli stessi innesti di
chitarre quasi heavy metal alternati ad un sax che funge da basso. Oppure vanno
segnalati gli episodi in cui è la canzone a essere in primo piano come la
piano-song Going Out on a Low Note con il suo crescendo finale quasi gospel, il
tempo medio alla War On Drugs di I’m Ugly, brano cantato con la cantautrice di
Manchester Francesca Pidgeon, per nove
anni sua collaboratrice e compagna, prima di una improvvisa rottura arrivata
proprio durante la lavorazione di questo album. Il che rende forse ancora più
intensi i brani sentimentali come She's Gone Cold, caratterizzata dalla
collaborazione con la Liverpool Philharmonic Orchestra, o la sognante The
Movie. Non sempre tutto gira alla perfezione, il pop quasi anni 80 di Kicking
Up a Fuss pare un po’ un pesce fuor d’acqua ad esempio, e lo strumentale finale
tutto elettronica di The Mourning pare abbastanza superfluo, il che rafforza l’idea
che sebbene il disco sia più che ispirato dai temi personali, a Camplight
manchi ancora una linea artistica precisa e riconoscibile. Non un delitto per
una artista che forse non ha mai avuto intenzione di porsi come nome di primo
livello, ma che con questo album prova a ritagliarsi un piccolo spazio
nell’affollato mondo del pop inglese.
Nicola
Gervasini
VOTO
6,5
Nessun commento:
Posta un commento