Black Lips
- Apocalypse Love
Fire
Records, 2022
In occasione della
recensione del loro album precedente (Sing in a World That’s Falling Apart) vi avevamo
raccontato dei loro epici concerti, dove non era raro finire coinvolti in scene
da primordi dell’era punk. Inutile tornarci su, oggi i set dei Black Lips
restano degli spettacolari Grand Guignol di irriverenza rock in stile Cramps,
ma il tutto è ormai rientrato nel confine di una professionale norma da
artisti. Oggi magari ci sarebbe da notare che questo Apocalypse Love è il loro
decimo album, il che fa di loro dei veterani della scena alternativa
statunitense, anche se della formazione originale del 1999 sono rimasti solo
Cole Alexander e Jared Swilley, con la stilosa sassofonista Zumi Rosow in forza
dal 2013 e le più recenti acquisizioni di Oakley Munson e Jeff Clarke.
Ed è tempo quindi
magari di resoconti o punti della situazione, per decidere magari che posto
possano avere i Black Lips, non tanto nelle nostre vite, quanto nel panorama
musicale internazionale, dove restano un po’ un fenomeno trasversale (nascono
come band roots o “cow-punk”, per riesumare un vecchio termine degli anni 80,
ma poi sono andati stilisticamente un po’ ovunque). Basta ascoltare e vedere il
video del singolo No Rave (no, il nostro governo stavolta non c’entra) per
trovarsi immersi in un patchwork di atmosfere dark alla Siouxsie and The
Banshees, beat dance che riportano ai dischi dei Tom Tom Club (ve li ricordate
spero, erano il side-project di Tina Weymouth e Chris Frantz dei Talking Heads),
look vagamente sexy-punk-rockabilly per cui citerei ancora una volta i Cramps.
E poi ascoltate il disco, e a quel punto venite assaliti da una miriade di
suoni, idee prese un po’ qui e un po’ là, citazioni, rimandi, omaggi, furti,
influenze. Tutto, insomma, ma anche nulla che non faccia chiunque imbracci uno
strumento musicale nei nostri giorni, visto che siamo ormai consci che questo
rock può solo rimestare vecchie minestre con nuovi ingredienti, anche se qui
nel minestrone loro ci hanno messo tutto quello che potevano, anche cose che
magari mai avreste accostato. Il risultato è che ci si diverte pure con i Black
Lips, sia quando estremizzano le loro nuove influenze disco per la pornografica
Sharing My Cream, sia quando si buttano in cavalcate morriconiane da vero
cowboy-movie come Tongue Tied. E ancora via con riverberi alla Link Wray o
Duane Eddy buoni per un film di Tarantino come Love Has Won o Lost Angel, ballate
rootsy in puro stile White Stripes (Stolen Valor), qualche sviata nell’elettronica
(Whips Of Holly), campanellini alla Phil Spector (Operation Angela), il suadente
country della title-track, fino al baldanzante pop kinksiano finale di The
Concubine. Tutto bene insomma, ma alla fine di quello che vogliono essere i
Black Lips come band e non come show ancora sappiamo poco, e credo che a questo
punto non abbiano davvero intenzione di dircelo
VOTO: 6,5
Nicola Gervasini
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