Tim Burgess – Typical Music
Bella Unione, 2022
Album di 30-35 minuti con canzoni da meno di 3 minuti, ritornelli che vanno rigorosamente cantati dopo non più di 30 secondi, e assoli ormai banditi: sembrano essere queste le regole del nuovo marketing musicale adattato alla poca attenzione dell’ascoltatore odierno, e alla fagocitazione passiva dello streaming. Poi però ci sono quelli che ancora si ostinano a ragionare come se l’industria discografica fosse quella di 25 anni fa, e dopo i Big Thief e i Wilco, anche Tim Burgess quest’anno osa proporre un doppio album di 22 canzoni intitolato Typical Music, seguito di I Love The New Sky che vi avevamo presentato nel 2020. Una mole di musica nata in una full immersion di studio con la sua band negli studi di Rockfield in Galles, uno sforzo che fa capire che la pausa che si sono presi i Charlatans, la storica band di cui è leader, potrebbe non essere brevissima (del 2017 il loro ultimo album). Ed esauriti i convenevoli brit-pop con l’iniziale Here Come The Weekend, il disco si getta fin dalle percussioni programmate di Curiosity in un viaggio nelle mille possibilità di coniugazione del verbo pop con l’elettronica. Per farlo, oltre al produttore Daniel O’Sullivan che già lo seguiva nel precedente album, Burgess si è avvalso della collaborazione di Thighpaulsandra, nickname di Timothy Lewis e figura cult del mondo delle programmazioni e produzioni elettroniche, già sentito anche come collaboratore dei Coil, di Julian Cope e degli Spiritualized, tra gli altri. E’ lui che fornisce una serie di samples e tastierine acide che vanno a condire una lunga serie di brani che tra pop classico (la corale Time That We Call Time) e riflessioni acustiche (Flamingo), si sviluppano nel corso di un disco più che mai variopinto. Inevitabile che nella quantità si celino brani convincenti e ben definiti come la title-track, e qualche esperimento che pare più curioso che memorabile (Revenge Through Art) o ripetitive cavalcate di impasti vocali che potevano essere anche tagliate (When I See You). Altrove poi Burgess cerca varietà in un mix di generi che va dalla quasi samba di Magic Rising all’up-tempo di Tender Hooks, fino alla tenue filastrocca di In May o alla danzereccia A Quarter To Eight con i suoi violini da disco-dance anni 70. Commentare un doppio album asserendo che si poteva anche tagliare qualcosa è una banalità forse, e lo stesso Burgess ammette che sebbene l’operazione sia inevitabilmente autoindulgente, la necessità di pubblicare tutto quello che è stato elaborato in 30 giorni di isolamento era più forte di qualsiasi razionalizzazione discografica. Sicuramente resta un disco importante per lui, sebbene difficile da assimilare se non con il tempo. Ma una notizia c’è, Burgess è un artista più che mai vivo anche dopo più di trent’anni di carriera.
VOTO: 7
Nicola Gervasini
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