Michael
Head & The Red Elastic Band
Dear
Scott
(Modern
Sky, 2022)
File Under:
Back form Detox Mansion
Succede così a volte, ci sono artisti che magari sono sulla scena da anni vivendo sul passaparola tra addetti ai lavori e pochi ascoltatori che li seguono con passione, e poi improvvisamente arriva il disco per cui tutti si accorgono improvvisamente di loro. Capita anche ad un autore come Michael Head, sulla scena fin dal 1984, prima con la cult-band britannica dei Pale Fountains (2 album tra il 1984 e il 1985, il singolo Thank You entrò anche nella classifica britannica), poi con gli Shack, creati insieme al fratello John Head (6 album tra il 1987 e il 2006, ma sono ufficialmente ancora attivi), e da titolare prima con due album con gli Strands, e dal 2017 i due con la Red Elastic Band. Nati in occasione dell’album Adiós Señor Pussycat, la sigla cela, tra gli altri, alcuni veterani della musica britannica come il trombettista Andy Diagram (che si divide il compito con Martin Smith), membro ufficiale dei James nel loro periodo d’oro a cavallo tra gli 80 e i 90, ma musicista sentito anche con i Pere Ubu, o il bassista Peter Wilkinson, membro degli Echo & the Bunnymen per l’album Siberia nel 2005. In ogni caso Dear Scott pare davvero il disco che può finalmente rendergli giustizia, perché parte di fatto dalla stessa ispirazione di sempre, inchiodata su certo sofisticato pop da classifica degli anni 60, quindi non scevro di estetismi e orchestrazioni. Parliamo quindi di un autore che registra sempre con le fotografie di Burt Bacharach e Lee Hazlewood sulla scrivania (e, volendo, potremmo anche immaginarci il titolo dedicato a Scott Walker, la cui lezione scorre sicuramente in queste canzoni), ma anche di grandi autori di soundtrack come John Barry aggiungerei in certi casi. E parliamo anche di un cantante che è nato comunque in una tradizione di pop inglese chitarristico e diretto alla Smiths, ma che ha comunque un approccio alla scrittura quasi da follsinger anni 70, tra un Phil Ochs più orchestrato o un David Ackles più complesso, e l’unione delle due cose lo porta a scrivere pop-songs che rasentano la perfezione. Qui poi, al di là della produzione pulitissima, quanto però calda, di Bill Ryder-Jones (ex Coral, oltre che affermato solista), ci si mette anche quel tocco di citazionismo letterario nel creare una sorta di concept-album dedicato alla vita di Francis Scott Fitzgerald, autore che con tutta evidenza non finirà mai di pesare come un macigno sulla cultura americana e non solo, visto che Head è inglese. Ne nascono canzoni straordinarie come Kismet, American Kid, Gino And Rico e tante altre, tutte interessanti anche nelle liriche, e brano dopo brano pare evidente che la totale identificazione di Head, uomo che ha passato anni a combattere un alcolismo cronico che lo ha quasi reso incapace di portare avanti la sua carriera, con il grande scrittore americano, anche lui spesso schiavo dell’alcool. Quello che piace di Dear Scott è infatti il fatto di avere temi e toni molto intimi a fronte di una produzione sontuosa e molto accattivante, un equilibrio che solo un artista navigato poteva tenere così bene. Scopritelo, ne vale la pena.
Nicola Gervasini
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