domenica 18 febbraio 2024

CAT POWER

 

Cat Power

Cat Power Sings Dylan: The 1966 Royal Albert Hall Concert

(2023, Domino)

File Under:  Judas!

Quella che segue potrebbe essere la recensione più inutile che abbiate mai letto, per cui vediamo se riesco a fare in modo che la leggiate fino alla fine impegnando i 3 minuti che necessita. Cosa abbiamo qui? Bob Dylan. E non c’è altro da dire. Abbiamo le canzoni di Bob Dylan fino al 1966, classici, capolavori, chiamatele come volete, ma restano una delle esperienze letterarie e musicali più grande del secolo scorso, Nobel o non Nobel.  C’è poi un disco di cover di Bob Dylan, l’ennesimo, e certo non l’ultimo, non sto a contare quanti artisti l’hanno fatto perché sicuramente sbaglierei per difetto. C’è poi il fatto che una cover di un brano di Bob Dylan credo sia un obbligo, sicuramente morale, che un qualsiasi autore di canzoni statunitense e non solo deve prima o poi affrontare, ma non mi meraviglierei di trovarlo anche come diktat nella Costituzione Americana. C’è poi Cat Power, che ha deciso di regalarsi questo concerto (e tra l’altro è anche il suo primo live-record ufficiale) per i suoi 50 anni e congiuntamente 30 anni di carriera (la sua prima esibizione da artista fu a Brooklyn nel 1993 come spalla ai Man or Astro-man?), una artista per cui, anche qui, non devo prodigarmi troppo in presentazioni, visto che è ospite fissa sulle nostre pagine da sempre. C’è anche il fatto che sulle cover Cat Power ci ha ormai fondato una carriera parallela, che tiene a bada i tempi lunghi, l’insicurezza, e i mille dubbi con cui porta avanti in maniera sempre sofferta la sua da autrice, e che sia brava a calarsi nei testi altrui non è più una novità. C’è il suo amore per Dylan, anche questa tutt’altro che una novità, visto che in Jukebox del 2008 oltre ad una cover di I Believe In You (da Slow Train Coming), ci aveva piazzato come unico suo brano autografo una splendida Song To Bobby che potrebbe anche da sola sostituire questa recensione. C’è un concerto, quello mitico di Bob Dylan con la Band (ai tempi ancora Hawks) del 1966 alla Royal Albert Hall (ufficialmente, perché poi pare che, per un errore dei bootleggers, venne messa la location errata alla serata clou, che si tenne invece alla Manchester Free Trade Hall), il numero 4 delle sue Bootleg Series se ancora non lo avete recuperato, la sera di chitarre elettriche esibite a sorpresa, del “Judas!”, “I’Don’t Believe you, You’re a Liar”, che è probabilmente l’unica parte che qui non viene ripresa con ingegneristica precisione. Insomma,  la sera che ha cambiato il rock and roll tutto. E che Cat Power ripercorre con perfetta aderenza, calandosi nei panni della folk-singer ante litteram voce-chitarra-armonica nella prima parte, e passando alla parte elettrica nella seconda. Stavolta senza troppi scandali, anche perché la sua band ricrea perfettamente il suono del tempo, segue gli arrangiamenti originali senza smuovere una virgola, non cambia tempi e modi. Ovvio quindi che il risultato sia bellissimo.  Ma quindi come la chiudo senza aver solo enumerato una serie di ovvietà? Chiedendomi se tutto ciò ha senso? No, non più, non nel 2023 in piena era di autocelebrazione del classic-rock. Se sarebbe stato meglio avere riletture diverse e coraggiose? Forse, ma è evidente che la serata era più un regalo a sé stessa che ai fans, per cui perché rovinarle la sorpresa? Sperando che le giovani generazioni raggiungano Dylan attraverso questo disco?. Io non ci spero più dal 2010 ormai, e non ci spera neanche la stessa Cat Power secondo me, che è mia perfetta coetanea, e ai suoi coetanei si rivolge ormai da tempo. Per cui va benissimo così, viviamo di grandi ricordi, questo vuole dirci Cat, riviviamoli assieme ancora una volta, e altro non c’è da dire.

Nicola Gervasini

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