Emma Tricca
Aspirin Sun
(2023, Bella Union)
File Under: Lysergic
Folk
Magari non
dico una bella cosa per uno che ama raccontare dischi nuovi, ma non mi capita
ormai spesso di attendere l’uscita di un disco con la sana ansia dell’amante di
musica in cerca di qualcuno ancora in grado di sorprenderlo, ma da Aspirin
Sun, quarto album di Emma Tricca, non sapevo bene cosa aspettarmi.
Il precedente St. Peter era stato un piccolo miracolo, in cui una
artista di casa nostra aveva capito perfettamente come assorbire due culture
lontane come quella del folk inglese tradizionale alla John Renbourn, e del
cantautorato indie americano, facendole non solo proprie, ma anche apportando
un contributo personale non indifferente. In questi quasi cinque anni
Emma, ormai inglese a tutti gli effetti, ha continuato a viaggiare, a studiare,
a frequentare i musicisti giusti, e l’approdo ad un’etichetta importante (e per
noi di casa) come la Bella Union suona già come una prima garanzia. Ma questo Aspirin
Sun vince perché la conferma autrice per nulla scontata, vocalist più che
comunicativa, e musicista perfettamente a suo agio in mezzo a nomi importanti
come Pete Galub, l’ex Sonic Youth alla batteria o il Dream Syndicate Jason Victor, che suona chitarre e
produce, vale a dire lo stesso team che già aveva lavorato al disco
precedente.
Sebbene l’intelaiatura dei brani resti folk, la propensione alla variazione
sul tema e ai tempi allungati da jam anche lisergiche, la porta in questa
occasione più sui terreni del John Martyn più sperimentatore, o, per citare
nomi più moderni, sicuramente potremmo trovarla a metà tra la Meg Baird più
recente e certe variazioni sul tema folk di Ryley Walker. Sicuramente la sua
proposta è ulteriormente cresciuta in eclettismo, per cui se Christadora
House ha salde fondamenta nei classici, la lenta e ipnotica Leaves entra
quasi nel mondo dello slowcore. Ma brani come Autmn’s Fiery Tongue o la straordinaria
Ruben’s House sono strutture complesse che pochi saprebbero maneggiare
con così grande esperienza. E anche i brani più immediati e semplici come King
Blixa, o le Devotion e Space And Time poste ai margini della
tracklist, rendono il disco perfettamente equilibrato tra esigenze cantautorali
e improvvisazioni degne dei
migliori Pentangle. Peccato che lo stile vocale e il genere restino materia per
pochi palati, perché tanta qualità meriterebbe davvero platee più ampie, e se
anche fosse questo il punto di arrivo di una creatività in continuo crescendo,
direi che ha già raggiunto un ragguardevole, e soprattutto memorabile, livello.
Nicola Gervasini
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