domenica 18 febbraio 2024

EMMA TRICCA

 Emma Tricca

Aspirin Sun

(2023, Bella Union)

File Under: Lysergic Folk

 

Magari non dico una bella cosa per uno che ama raccontare dischi nuovi, ma non mi capita ormai spesso di attendere l’uscita di un disco con la sana ansia dell’amante di musica in cerca di qualcuno ancora in grado di sorprenderlo, ma da Aspirin Sun, quarto album di Emma Tricca, non sapevo bene cosa aspettarmi. Il precedente St. Peter era stato un piccolo miracolo, in cui una artista di casa nostra aveva capito perfettamente come assorbire due culture lontane come quella del folk inglese tradizionale alla John Renbourn, e del cantautorato indie americano, facendole non solo proprie, ma anche apportando un contributo personale non indifferente. In questi quasi cinque anni Emma, ormai inglese a tutti gli effetti, ha continuato a viaggiare, a studiare, a frequentare i musicisti giusti, e l’approdo ad un’etichetta importante (e per noi di casa) come la Bella Union suona già come una prima garanzia. Ma questo Aspirin Sun vince perché la conferma autrice per nulla scontata, vocalist più che comunicativa, e musicista perfettamente a suo agio in mezzo a nomi importanti come Pete Galub, l’ex Sonic Youth alla batteria o il Dream Syndicate Jason Victor, che suona chitarre e produce, vale a dire lo stesso team che già aveva lavorato al disco precedente. 

Sebbene l’intelaiatura dei brani resti folk, la propensione alla variazione sul tema e ai tempi allungati da jam anche lisergiche, la porta in questa occasione più sui terreni del John Martyn più sperimentatore, o, per citare nomi più moderni, sicuramente potremmo trovarla a metà tra la Meg Baird più recente e certe variazioni sul tema folk di Ryley Walker. Sicuramente la sua proposta è ulteriormente cresciuta in eclettismo, per cui se Christadora House ha salde fondamenta nei classici, la lenta e ipnotica Leaves entra quasi nel mondo dello slowcore. Ma brani come Autmn’s Fiery Tongue o la straordinaria Ruben’s House sono strutture complesse che pochi saprebbero maneggiare con così grande esperienza. E anche i brani più immediati e semplici come King Blixa, o le Devotion e Space And Time poste ai margini della tracklist, rendono il disco perfettamente equilibrato tra esigenze cantautorali e improvvisazioni degne dei migliori Pentangle. Peccato che lo stile vocale e il genere restino materia per pochi palati, perché tanta qualità meriterebbe davvero platee più ampie, e se anche fosse questo il punto di arrivo di una creatività in continuo crescendo, direi che ha già raggiunto un ragguardevole, e soprattutto memorabile, livello.

 

Nicola Gervasini

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