Massimiliano
Larocca
DÀIMŌN
(Santeria
Records - La Chute Dischi/Audioglobe)
File Under: You Want It Darker
Sta prendendo una direzione inaspettata,
e se vogliamo sorprendente, la carriera di Massimiliano Larocca, artista
toscano che seguiamo fin dagli esordi, quando dischi come ll Ritorno delle Passioni (2005) e, soprattutto, La Breve
Estate del 2008, avevano
contribuito a mantenere viva la tradizione della canzone popolar-cantautoriale
nostrana. Probabilmente la non riuscitissima esperienza dei Barnetti Bros,
supergruppo creato nel 2009 con l’amico Andrea Parodi, il maestro di genere
Massimo Bubola, e il da noi ormai onnipresente Jono Manson, lo ha spinto a
cambiare direzione in cerca di una marca più indipendente, perché da allora
Massimo ha pubblicato dischi che davvero non abusano della parola “progetto”,
in quanto sono realmente passi ponderati e approfonditi di un percorso che solo
lui sa dove vuole arrivare. La svolta fu affidarsi nel 2014 alla produzione di
Antonio Gramentieri per il disco Qualcuno stanotte, album intrigante in cui l’oggi Don Antonio cercava di scardinare le regole
ferree di canzoni scritte ancora con in mente schemi classici. E poi l’incontro
nel 2019 con l’ex Bad Seeds Hugo Race, che ha operato quasi allo stesso
modo per il successivo Exit|Enfer, primo capitolo di una trilogia che giunge ora con
questo al secondo capitolo DÀIMŌN.
E subito si
nota come il processo iniziato col primo disco del sodalizio assume qui piena
realizzazione, dove non c’è più un cantautore che affida le proprie canzoni ad
un produttore perché le vesta coi suoi suoni, ma un autore che ha scritto brani
specificatamente per un progetto artistico già ben definito, e il Larocca che
si sente in questo album è davvero ormai lontano da quello degli esordi sia
nella scrittura che anche nell’uso della voce, che segue la lezione dark-blues
di Race per addentrarsi in un concept album dedicato al
mito di Er raccontato da Platone nella sua Repubblica, a pretesto di un lungo
ragionare sulla nostra essenza fatta di demonio e santità. Certo, qui si
scivola verso altri riferimenti, tra Tom Waits e chitarre Marc-Ribottiane, e
quel parlato alla Leonard Cohen di fine carriera che apre molti brani, e un
pezzo come la lockdown-song Leviatano deve
sicuramente qualcosa al Vinicio Capossela in zona Canzoni a Manovella, ma
l’opera resta comunque un bello sforzo personale che sicuramente mette in campo
un autore che non si sta accontentando dei complimenti passati. Tra i brani si
fanno notare anche Giorni di Alcione, L’abbandono e il singolo Non
saremo più gli stessi, in
cui si apprezza meglio la voce di Federica Ottombrino, metà del duo
partenopeo Fede'n'Marlen, ormai assunta in pianta stabile in una band forte di
collaboratori ormai storici come lo stesso Don Antonio, Roberto Villa, Franco Beat Naddei e Diego Sapignoli.
Ci sarebbe da approfondire
il gran lavoro di produzione e post-produzione (opera di Nicola Baronti,
collaboratore di Iosonouncane), ma mi piace
soffermarmi anche sulla confezione del disco, con tre bellissime copertine
create dall’illustratore Enrico Pantani, una destinata alla versione
vinile e due a quella CD, che dimostrano che c’è ancora differenza tra
registrare in casa una canzone in una mattinata e buttarla nel mare magnum
delle piattaforme streaming, e creare in quattro anni un’opera che forse non
venderà tanto da portare Larocca nelle classifiche, ma resterà nel tempo, nelle
case giuste, su quei lettori o piatti che ancora sanno accogliere un lavoro ben
fatto.
Nicola Gervasini
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