Marina Allen – Centrifics
Fire Records, 2022
Devo dire che trovo sorprendente constatare quanto nel 2022 il
modello di cantautrice dallo stile elegante e dai testi personali resti ancora
quello dominante, quasi che gli anni delle rabbiose e combattive folksinger
alla Ani DiFranco prima era, abbia ormai lasciato il passo ad una nuova
generazione di autrici per nulla desiderose di urlare rabbia, ma al massimo sussurrare
intimamente i propri disagi. In ogni caso il tutto alla vecchia maniera, come
ad esempio la giovanissima Marina Allen, che nelle interviste cita
subito Joni Mitchell (direi di riferirsi quasi più a quella più elaborata di
Hejira, anche se poi il modello dei testi resta sempre la confessione a cuore
aperto di Blue), o ancora più Karen Dalton, e si unisce da mesi in tour a
spiriti affini di poco più grandi di lei come Mega Bog o Waxahatchee, per
darvi due riferimenti recentissimi.
Uscita dalla sempre viva scena di Los Angeles, la Allen si era
fatta notare lo scorso anno per un EP che faceva di tradizione virtù come
Candlepower, e ora esordisce finalmente con l’album Centrifics. Che piace
subito al primo ascolto, anche se non sorprende troppo dal punto di vista
stilistico, dove la Allen dimostra piena padronanza dei propri mezzi vocali ed
espressivi, ma ancora forse una non perfetta maturità nel trovare un registro unico
e del tutto personale, come è anche abbastanza normale in un’opera di esordio.
Certo, la ragazza ci fa capire subito quanto abbia ascoltato molte artiste
degli anni 2000, e qualcuno potrebbe anche ritrovarci Joanna Newsom nel
barocchismo pianistico di una Celadon posta in apertura nonostante sia un brano
che poi musicalmente si discosta molto dal tono del resto del disco (ma non nei
testi, che già offrono con versi come “I am getting the sense, you know, I’m
getting desperate” l’idea di smarrimento che imperversa un po’ ovunque).
Perché poi dopo invece si lavora spesso di sottrazione, come l’eredità
della Dalton evidente nella sofferta piano-ballad Getting Better (a cui fa eco
più avanti Superreality), mentre con la filastrocca di Or Else entriamo in campi
già ampiamente esplorati da Laura Marling. Le idee non mancano comunque, come
il cambio di tono inaspettato di Smoke Bush, il soffuso quasi-jazz di New Song
Rising, ma il finale dell’album viaggia
su canoni da più classico folk con la bella Halfway Home, che racconta i
momenti in cui si perde la forza (“I get tired of the song, the metronome and
yearning”), My Stranger, e le belle orchestrazioni di Foul Weather Jacket Drawing,
per finire in Gardener’s Island con una
domanda finale nel ritornello che sembra restare (per ora) senza risposta come
“ma cosa sto cercando?”.
La risposta per ora è che sicuramente Marina Allen sta cercando un
suo posto nel panorama musicale, abbastanza affollato in termini di cantautrici
di questo tipo, ma che lei stessa conferma essere una delle scene più vive al
momento. Centrifics è una bella presentazione coem già lo era Candlepower,
anche se lascia la sensazione che sia solo un punto già ben saldo da cui partire.
Nicola
Gervasini
Voto:
7,5
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