Coral – Sea Of Mirrors
Run On Records
- 2023
C’è da
considerarli ormai dei veterani di questi anni 2000 gli inglesi Coral, che con
Sea of Mirrors arrivano all’undicesimo album di inediti pubblicato dal 2002 ad
oggi. Baciati inizialmente anche da un successo e un “hype da next big thing”
britannica (e scusate se lo dico con
parole inglesi, ma in italiano non rende bene l’idea di come la stampa musicale
d’oltremanica sappia pompare a dismisura un fenomeno quando si mette d’impegno),
la produzione della band si è poi via via assestata in una invidiabile velocità
di crociera, che ha avuto forse il suo culmine nel doppio album del 2021 Coral
Island, sorta di vademecum di ogni possibile idea , influenza, proposta e riproposizione
della loro formula musicale. Che è da sempre un originale brit-pop in salsa
roots americana, con un gioco a mille rimandi e citazioni che in questo Sea of
Mirrors, tredici brevi canzoni per 36 minuti di musica, diventa quasi un quiz
per i loro fans.
Insomma, c’è da indovinare a chi stanno
pensando in ogni brano, e allora via a pensare ad uno spaghetti western in
North Wind, ai Beach Boys nella title-track, ad un qualsiasi cantautore della
West Coast dei primi anni 70 in That's Where She Belongs, e addirittura ad un
Billy Joel prima era in Faraway Worlds. Non manca nulla quindi, c’è persino un
soffuso ritmo quasi samba in Child Of The Moon per completare l’ideale
programmazione di una radio di cinquant’anni fa. Il disco è in verità la prima
parte di un doppio che avrà un altro capitolo di prossima uscita (il titolo
dovrebbe essere Holy Joe's Coral
Island Medicine), e questo spiega forse il percorso puramente tematico
di questi tredici brani, che loro hanno presentato come un disco country rock
in salsa psichedelica con omaggi sparsi a Ennio Morricone. A produrre c’è l’ex
High Llamas Sean O'Hagan, irlandese con le orecchie piantate nel rock
alternativo USA, altro segno di questo curioso ponte UK-USA che il disco cerca
di tracciare. E qui scatta la discussione, laddove una band che comunque ha una
sua marca stilistica fa un ulteriore passo verso un “passatismo” che apre due
linee di pensiero, una negativa che giudica il tutto come un mero esercizio di
stile (e di fatto non si sbaglia di molto), e l’altra, non meno condivisibile, che
invece considera questa l’unica via per continuare a far vivere una tradizione
e questo suono anche nell’era moderna, incapace (o forse davvero è impossibile
riuscirci, a meno di uscire dai seminati del mainstream) di rigenerare nuove
ispirazioni. Sea of Mirrors è questo, un buon disco che di fatto esisteva già,
ma che in fondo nessuno ha mai detto di non voler più ascoltare.
VOTO: 7
Nicola Gervasini
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