domenica 18 febbraio 2024

CORAL

 

Coral – Sea Of Mirrors

Run On  Records - 2023

 

C’è da considerarli ormai dei veterani di questi anni 2000 gli inglesi Coral, che con Sea of Mirrors arrivano all’undicesimo album di inediti pubblicato dal 2002 ad oggi. Baciati inizialmente anche da un successo e un “hype da next big thing” britannica  (e scusate se lo dico con parole inglesi, ma in italiano non rende bene l’idea di come la stampa musicale d’oltremanica sappia pompare a dismisura un fenomeno quando si mette d’impegno), la produzione della band si è poi via via assestata in una invidiabile velocità di crociera, che ha avuto forse il suo culmine nel doppio album del 2021 Coral Island, sorta di vademecum di ogni possibile idea , influenza, proposta e riproposizione della loro formula musicale. Che è da sempre un originale brit-pop in salsa roots americana, con un gioco a mille rimandi e citazioni che in questo Sea of Mirrors, tredici brevi canzoni per 36 minuti di musica, diventa quasi un quiz per i loro fans.

 Insomma, c’è da indovinare a chi stanno pensando in ogni brano, e allora via a pensare ad uno spaghetti western in North Wind, ai Beach Boys nella title-track, ad un qualsiasi cantautore della West Coast dei primi anni 70 in That's Where She Belongs, e addirittura ad un Billy Joel prima era in Faraway Worlds. Non manca nulla quindi, c’è persino un soffuso ritmo quasi samba in Child Of The Moon per completare l’ideale programmazione di una radio di cinquant’anni fa. Il disco è in verità la prima parte di un doppio che avrà un altro capitolo di prossima uscita (il titolo dovrebbe essere Holy Joe's Coral Island Medicine), e questo spiega forse il percorso puramente tematico di questi tredici brani, che loro hanno presentato come un disco country rock in salsa psichedelica con omaggi sparsi a Ennio Morricone. A produrre c’è l’ex High Llamas Sean O'Hagan, irlandese con le orecchie piantate nel rock alternativo USA, altro segno di questo curioso ponte UK-USA che il disco cerca di tracciare. E qui scatta la discussione, laddove una band che comunque ha una sua marca stilistica fa un ulteriore passo verso un “passatismo” che apre due linee di pensiero, una negativa che giudica il tutto come un mero esercizio di stile (e di fatto non si sbaglia di molto), e l’altra, non meno condivisibile, che invece considera questa l’unica via per continuare a far vivere una tradizione e questo suono anche nell’era moderna, incapace (o forse davvero è impossibile riuscirci, a meno di uscire dai seminati del mainstream) di rigenerare nuove ispirazioni. Sea of Mirrors è questo, un buon disco che di fatto esisteva già, ma che in fondo nessuno ha mai detto di non voler più ascoltare.

 

VOTO: 7

Nicola Gervasini

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