Allah-Las - Zuma
85
2023, Calico Discos/Innovative Leisure.
Non si sa con esattezza chi abbia coniato il termine “retromania”, tra l’altro usato anche tra gli anglofoni, tanto da essere diventato anche il titolo di un trattato teorico scritto nel 2011 dal famoso critico musicale Simon Reynolds (colui che ha ufficialmente la paternità dell’oggi abusatissimo termine “post-rock”), ma sicuramente non è ormai recentissimo (la Treccani attesta il primo utilizzo nei quotidiani italiani nel 1999 sull’Unità). Per Reynolds più che di una corrente culturale e artistica, si tratta proprio di una mera ossessione che impedisce di slegarsi da schemi mentali il cui unico merito, secondo lui, resta quello di essere stati efficaci e di successo nella loro epoca. Oggi però viviamo una fase difficilissima per il rock, o “classic rock”, termine che già lo relega ad oggetto di retromania per definizione, perché se è vero che internazionalmente dobbiamo affidarci ai Måneskin o ai Greta Van Fleet per trovare adepti anagraficamente definibili come “giovani” e di successo, (ma volendo potremmo anche arrenderci ed aspettare solo il nuovo album dei Rolling Stones, e chiudiamo così la discussione), anche il mondo del rock indipendente non sembra riuscire a slegarsi dal passato. E’ così anche, e soprattutto, per gli Allah-Las, con gli Algiers tra le band più spesso citate da chi cerca di far valere l’idea che no, il rock non è affatto morto, ma anzi vive e progredisce. Il loro nuovo album Zuma 85 sembra infatti quasi una risposta degli stessi, quasi a dire “no, guardate che anche noi, anche se siamo più giovani, sempre là siamo rimasti”. Con un titolo che non può far pensare a Neil Young, una data che ci riporta indietro di quasi quarant’anni, ma soprattutto con quel riff di Sweet Jane rielaborato non solo palesemente nell’iniziale The Stuff, ma pure in versione più lenta dalla successiva Jelly. Poi però scopri che il testo di The Stuff ironizza parecchio sulla retromania, pare quasi uno di quei brani di Frank Zappa quando si divertiva a ricreare perfettamente (e con grande rispetto) un genere musicale, ma nello stesso tempo lo sbeffeggiava nel testo. E qui si apre la discussione, perché Zuma 85 è decisamente il disco più retrò di una band che retrò ci era già nata, ma con uno sguardo moderno che evitava l’effetto cover-band. Effetto scongiurato anche qui, state tranquilli, perché poi il disco è più che divertente, i brani scritti dai quattro ragazzi di Los Angeles reggono bene il confronto con i modelli a cui si rifanno (bello il finale con la title-track e The Fall), e gli Allah-Las dopo 15 anni di carriera hanno ormai percorso abbastanza chilometri da conoscere tutti i trucchi del mestiere per far sentire l’ingrediente della casa anche in una ricetta banalissima. Ma qui siamo ormai ad una sorta di struttura ricorsiva in cui una band che ripropone il passato fa un disco che ripropone il passato ragionando sulla musica che ripropone il passato con l’idea che tutto ciò ci parlerà del presente. D’altronde anche il cinema si è fermato lì, tra remake, reboot, e quella prassi consolidata di mostrare il passato per parlare dell’oggi (pensate anche solo al successo del film di Paola Cortellesi). Trucco che agli Allah-Las riesce in parte secondo me, perché il gioco non è nuovissimo e alla lunga stanca, e pare essere davvero l‘unica stuzzicante riflessione che in questo momento questo sound riesce a proporre. Lassù Lou Reed, primo omaggiato da queste canzoni, mi sa che apprezza, ma un po’ se la ride anche, perché lui ci aveva avvertito in tempi non sospetti che non c’era poi molto da dire su una musica basata su massimo due accordi (che già tre è jazz…) e un paio di chitarre.
Nicola Gervasini
VOTO: 6,5
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