Geese – 3D Country
Partisan, 2023
Parafrasando il titolo, direi che più che 3D Country, quello dei Geese si potrebbe definire “Country 3.0”, cioè un qualcosa che forse di country non ha nulla se non l’origine di due versioni fa. Ma facciamo un passo indietro: i Geese sono un giovane quintetto di Brooklyn, 5 liceali che nel 2020 hanno deciso di festeggiare il diploma registrando un disco che, a sorpresa, nel 2021 ha ricevuto parecchi elogi e buon successo. Projector infatti era la dimostrazione che qualcuno della loro generazione Z si prende ancora la briga di ascoltare i dischi dei loro padri, se non ormai nonni, visto come mischiava generi antichi in un purè stilistico che sorprendeva per freschezza e buone idee a supporto (se vi fate un giro nelle recensioni dell’epoca, per definirli, trovate citati punk e post-punk, rock, pop, prog, art-rock, new wave, indie-rock, e mi sono fermato qui). Nell’elenco mancava giusto il country e la folk music, e così i nostri per il secondo capitolo decidono che è tempo di coprire anche quell’area, calandosi nei panni di 5 giovani cowboy con Stetson d’ordinanza con lo stesso spirito che anima un qualsiasi cosplay ad una fiera di fumetti. E per fare questo salto stilistico decidono pure di creare un concept-album sulla falsariga di un Desperado degli Eagles, anzi, visto che il loro cowboy che si perde nel deserto alla ricerca sé stesso (come il protagonista di Paris, Texas di Wim Wenders) sperimenta droghe di vario tipo, il parallelo più giusto sarebbe con il mitico capolavoro del country-rock The Adventures of Panama Red dei New Riders of The Purple Sage, che ci cantavano di un L.A. Cowboy solitario che sniffava coca e fumava spinelli, e chissà se almeno uno dei loro genitori possiede davvero quell’ album. Nell’affrontare il non facilissimo compito, i 5 si sono fatti guidare dal produttore James Ford, maestro di poliedricità che passa dai Depeche Mode, ai Gorillaz fino a Kyle Minogue con nonchalance, e che qui insegna bene come infarcire di riferimenti storici questi brani nati per suonare come un normalissimo disco di rock americano, che forse a volte, più che al country, si avvicina all’arena-rock di Bob Seger per quel suo largo uso di cori femminili e ritornelli cantabili (immaginatevi il leone di Detroit alle prese con Cowboy Nudes ad esempio), anche se l’apertura di 2122 fa pensare più al veemente pop urbano degli Strokes. Il risultato è un disco frizzante, risultato più di logica di produzione che di urgenza di pancia, e di fatto il gioco regge benino per i primi 4-5 brani, prima di cominciare a mostrare la corda quando il trucco si svela e, senza sorprese, ci si rende conto che sapranno sì studiare i dischi dei padri, ma se manca poi la motivazione di fondo di raccontare una storia simile usando un certo tipo di linguaggio, il tutto sa solo di esercizio di stile. Per quanto lo sforzo creativo e produttivo sia notevole, 3D Country rappresenta quindi un piccolo passo indietro rispetto al’esordio, che pur nel suo essere ugualmente calligrafico, mostrava qualche personalizzazione in più. Poco male, forse stanno ancor studiando i classici, lasciamoli maturare, ma intanto questo 3D Country potrebbe divertivi non più di un album di Orville Peck.
VOTO: 6,5
Nicola Gervasini
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