domenica 18 febbraio 2024

PJ HARVEY

 

PJ Harvey
I Inside the Old Year Dying

(Partisan, 2023)
File Under: To Bring You My Pain

 

Ci siamo presi del tempo prima di parlare di questo I Inside the Old Year Dying, decimo album di PJ Harvey, e sicuramente avremo ancora ulteriore tempo per metabolizzare anche questa nuova uscita, vista la centellinata cadenza con cui pubblica i suoi nuovi lavori. Soprattutto perché questo lavoro è stato descritto un po’ da tutti come ostico e per nulla immediato, lo si è subito paragonato a White Chalk, il suo disco più intimo ed etereo, e forse è proprio dal paragone tra le due opere che possiamo trovare la chiave giusta per inquadrare l’album nella sua discografia. Partendo da una constatazione, e cioè che quando nel 2007 uscì quell’album breve e parecchio discusso, la Harvey attraversava un momento non facile, in cui il parziale insuccesso, sia di critica che di pubblico, del precedente Uh Huh Her del 2004 aveva messo in dubbio la sua statura di artista di primo livello nel panorama internazionale. La critica che più spesso si leggeva in quegli anni è che i suoi continui cambi di stile potevano essere il sintomo di una mancanza di personalità propria ben definita, ed effettivamente non era facile definire quale fosse una ipotetica “canzone alla PJ Harvey” mettendo a paragone anche le sue opera più osannate come To Bring You My Love o Rid Of Me, e il repentino (e forse effettivamente troppo forzato) cambio di rotta di White Chalk, uno di quegli album che si amano o si odiano, non aiutò a risolvere la questione. Lei ha risposto invece nel migliore dei modi, con tre album che, seppur molto diversi tra loro, non permettono più  ai critici di fare riferimenti precisi ad altri artisti (To Bring You My Love pagava pegno al rapporto artistico con Nick Cave, Stories from the City, Stories from the Sea era segnato inevitabilmente  dalla collaborazione con Thom Yorke dei Radiohead), ma sono opere unicamente attribuibili a lei. Per questo se Let England Shake resta il caposaldo della sua raggiunta maturità, e The Hope Six Demolition Project la sua sorprendente evoluzione (non era piaciuto a tutti, ma col tempo sta avendo ragione), I Inside the Old Year Dying è probabilmente il disco che voleva fare da tempo, intimo,personale, scritto e suonato per sé stessa senza minimamente chiedersi quale tipo di pubblico potrebbe apprezzarlo, e soprattutto senza preoccuparsi su come potrebbe un disco che dopo tre ascolti ancora ci si è capito poco, sopravvivere in un era in cui l’ascoltatore medio concede ad un’ artista massimo 30 secondi per decidere se mettere un pezzo in una playlist. Anche perché qui avrei difficoltà ad isolare un singolo brano da un contesto che pare essere una sorta di flusso mentale continuo di emozioni, storie, e suoni (anche qui c’è tutto il suo mondo di chitarre e elettronica, con John Parish che la segue fin dagli esordi e Flood in cabina di regia). Probabilmente un domani non sarà questo lento e tortuoso  I Inside the Old Year Dying il primo disco che nomineremo a rappresentanza di questa grande artista, ma sono già sicuro che sarà il primo disco che consiglieremo da  sentire per chi vuole davvero conoscerla, perché qui c’è davvero tutto il suo sofferto, ostico, ma meraviglioso, mondo.

Nicola Gervasini

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